Il Re Leone
The Lion King
Regia Jon Favreau, 2018
Sceneggiatura Jeff Nathanson
Fotografia Caleb Deschanel.
Il trono, ecco il problema. Il mondo si sfascia e la scala dei valori decade. Il leone deve tornare a essere Leone. Tocca al leoncino darsi da fare, riprendersi, tornare in sé. Nessun dubbio shakespeariano. Simba non ha bisogno di esporre programmi, il tema è univoco, si sa. L’ordine è stabilito per natura. Non ci addentriamo nei vicoli, dato che il tema è una strada maestra. Il problema, in questo Leone che torna su di sé a distanza di 25 anni, è nella forma, non del narrare bensì dell’esprimere. La forma dell’espressione segna qui una direzione che, sembrando in superficie un avanzamento realistico, indica invece un azzeramento della metafora, della sua essenza espressiva. L’uso della computergrafica (CGI, Computer-Generated Imagery), live-action in 3D, ci porta in una savana-effetto. Rispetto al Leone del 1994 (Roger Allers, Rob Minkoff), tutto è più “vero”, il problema sono le virgolette. Insomma manca il cartoon. La mancanza è grave giacché quest’ultimo Leone si presenta a noi ricco di somiglianza materiale con i nostri simili ma povero della distanza metaforica che faceva ricco il racconto (con i suoi personaggi e con le sue situazioni) disegnato, cioè tratteggiato, discreto. La carenza di discrezionalità è purtroppo la qualità negativa che progressivamente, oggi, autogenera confusione, cioè difficoltà a distinguere, a confrontare, a scegliere. Le somiglianze dei personaggi Disney di cartone con le corrispondenti figure della vita reale mantenevano ai nostri occhi la differenza del tratto. Il di-segno era un vantaggio per comprendere la distanza e uno strumento per la ragion critica. Ogni comprensione ha bisogno di distanza. Il Mito è istituzionalmente Lontano. Il Leone privo di di-segno ci consegna un mondo “uguale”, “tanto uguale da” non servire alla distinzione critica, utile e necessaria alla coscienza del mondo. Comodo, piace.
Franco Pecori
21 Agosto 2019