Eragon
Eragon
Stefen Fangmeier, 2006
Ed Speelers, Jeremy Irons, Robert Carlyle, John Malkovich, Garrett Hedlung, Alun Armstrong, Chris Egan, Gary Lewis, Djimon Hounsou, Ilaria D’Amico (voce di Saphira).
Eragon, il film che la Twentieth Century Fox ha deciso di trarre dal libro del giovanissimo autore Christopher Paolini, fa pensare a La storia infinita (Wolfgang Petersen, 1984). Si vedevano le gesta di un ragazzino, Atreyu (Noah Hathaway), impegnato a salvare il regno di Fantàsia. E fondamentale era l’aiuto del grosso cane di peluche volante. Qui, in Eragon, l’eroe cavalca un drago femmina, Saphira, che lo scorrazza per i cieli per salvare il fantastico popolo di Alagaësia e per salvarsi dal perfido re Galbatorix (un impressionante Malkovich!). In sostanza, è la fantasia dei ragazzi che può redimere il mondo dalla cattiveria. La differenza col film di Petersen è che l’autore del libro Die Unendliche Geschichte, era uno scrittore affermato, Michael Ende, mentre le avventure di Eragon sono state concepite e messe su carta nel 2003 da Paolini, un diciottenne. E furono i genitori a pagare la pubblicazione. Il libro ha poi venduto 2,5 milioni di copie nei soli Stati Uniti. C’è quindi una novità: il cinema riconosce e fa proprio l’immaginario di un ragazzo, immaginario nato e cresciuto – per così dire – su materiali di consumo consolidato, identificabili “immediatamente” nel contesto attuale, entro una linea di confine che va dagli Anelli a Potter, comprendendo, a un livello di coscienza meno definito, le Guerre Stellari e Jurassic Park. Ossia, il prodotto è il soggetto stesso, l’autore è già il racconto. Il circuito è perfetto. Si dirà che ogni espressione “creativa” (e anche non “creativa”) ha sempre, in qualche misura, referenti rintracciabili. Ma qui essenziale è la velocità e l’energia espansiva del fenomeno, la cui specialità risiede nell’insieme dei mezzi, l’editoria, la pubblicità, il cinema; dunque la riconoscibilità e il consenso, svelto e “immediato” come solo i giovanissimi sanno produrlo. E allora, eccovi l’avventura di Eragon, quasi “inspiegabile”, che non ha bisogno di motivazioni esplicite, non necessita di concatenazioni nozionistiche. C’è un re cattivo? Non importa perché, diamogli addosso. Ci aiuta un drago? Va bene, non importa sapere tutto dell’uovo di zaffiro da cui il fantastico animale nasce, meglio affidarsi al potere magico del computer e abbandonarsi all’emozione delle sue “invenzioni”. Eragon ha un mentore? Una guida, un precettore: benisssimo, non è necessario ricordarsi di Mentore, a cui Ulisse affida il piccolo Telemaco. E che importa se poi sarà Atena a mettersi nei panni di Mentore per aiutarlo a far fuori i Proci? Collegamenti e similitudini non servono. Lo spettacolo si propone di per sé. E poi, vogliamo mettere l’emozione di Ed Speelers, un ragazzo come tanti altri, nel recitare accanto a Jeremy Irons, un attore non come tanti altri? Un giorno potrebbe toccare a un ragazzo qualsiasi, uno scelto tra migliaia di provini.
Franco Pecori
22 Dicembre 2006