Segreti di famiglia
Tetro
Francis Ford Coppola, 2009
Fotografia Mihai Malamaire Jr.
Vincent Gallo, Alden Ehrenreich, Maribel Verdú, Klaus Maria Brandauer, Carmen Maura, Francesca De Sapio, Rodrigo De La Serna, Leticia Bredice, Mike Amigorena, Sofia Castiglione, Erica Rivas, Sofia Gala, Adriana Mastrangelo, Silvia Perez.
«Non guardare la luce, siamo una famiglia». Tetro/Gallo lo dice a Bennie/Ehrenreich mentre lo salva dalla trans drammatica che ha portato il giovane (18 anni appena compiuti) a camminare come un sonnanbulo controcorrente nel traffico notturno. Il ragazzo, approfittando di un guasto ai motori della nave dove s’è rifugiato (è poco più che un mozzo) scappando dal padre, è sceso a terra (Buenos Aires) per trovare il fratello, anch’egli da tempo in fuga dalla famiglia. La ricerca diventa dramma, sempre più “oscuro” (però non tantissimo), finché si risolve nel finale. Tetro abbraccia il giovane e gli impedisce di restare abbagliato dai fari. Capitò anche a lui, una sera in auto, vi rimise la vita la donna che gli stava accanto – questo lo sappiamo da uno dei diversi flash colorati (il film è in bianco e nero). Sappiamo chi era la donna ma non lo diciamo perché è uno degli elementi della componente “misteriosa” (non tantissimo) dell’intreccio famigliare. Coppola tenderebbe quasi alla tragedia (greca) per via della catena perversa dei rapporti padre-figlio che sembrano perpetuarsi condizionando la vita di tre generazioni. Rivalità, invidia, oppressione, vicende inconfessabili. Ma la tragedia, artisticamente parlando, è un’altra cosa, specie quella antica. È vero che nel film la gente muore lasciando segni indelebili in chi resta ed è vero che sono trapassi traumatici, rappresentati con “rumore”, quasi con fracasso, ma la catarsi manca. C’è piuttosto quel finale in “controluce” che ci accompagna sulla strada del “rientro”, senza consolazione né disperazione. Il regista si accontenta, alla fine, di averci coinvolti emotivamente in un viaggio nel cinema “d’autore”, in un rituale accentuato verso il riscatto da quel Padrino schiacciasassi che sembra abbia imprigionato l’artista, il quale invece si sentiva maggiormente portato – dice – ad un lavoro di scrittura originale. Rispettabile e perfino ammirevole l’intenzione di Coppola di uscire dalla gabbia della produzione di serie per cimentarsi in forme ancora sperimentali, che richiamano una certa tradizione del cinema indipendente e di ricerca. Tuttavia questi segreti di famiglia, a vaderli bene, non sono poi così sconvolgenti. Il contenuto, mentre cerca una sua forma impressionante, sceglie di esprimersi attingendo, un po’ confusamente, a soluzioni “d’avanguardia”, senza però mai andando in fondo, mescolandole soltanto in un continua trasformazione stilistica, in una compilazione che non trova sbocco. La musica sì non è d’accompagnamento, ma ogni volta sembra rinunciare ad essere se stessa. I dettagli invadono sì l’inquadratura – e il suono li enfatizza fino a diventare rumore anche assordante -, ma non se la sentono di essere decisivi, creativi. Gli sguardi e gli approcci – Bennie che arriva in casa del fratello Tetro/Gallo (ma sarà poi il fratello?) dopo anni di misteriosa separazione e trova l’attraente Miranda/Verdú, la compagna che lo “cura” dalla pazzia di scrittore traumatizzato dai successi e dall’estraneità “padronale” del padre musicista (Brandauer) – promettono di pescare nel torbido ma negano passo passo ogni conseguenza “vera”, degna del dramma prospettato. Invece, arrivano le strane inquadrature, partono per la tangente le applicazioni esibizioniste di un’avanguardia teatrale e letteraria stanca, un armamentario che intacca la drammaticità dei personaggi riducendoli per lo più a figure. Non che gli attori non siano bravi. E però la matassa drammatica si scioglie grazie alle “rivelazioni” progressive, fatte di parole che, in sostanza, non si liberano – per così dire – della sceneggiatura che le ha scritte. L’impressione è di uno sforzo artistico che produce l’effetto contraddittorio di una sperimentazione colossale.
Franco Pecori
20 Novembre 2009