C’era una volta a New York
The Immigrant
Regia James Gray, 2013
Sceneggiatura James Gray, Ric Menello
Fotografia Darius Khondji
Attori Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominczyk, Jicky Schnee, Yelena Solovej, Maja Wampuszyc, Ilia Volok, Angela Sarafyan.
«Ti odio e odio anche me stessa». Col cuore gonfio di disperata passione Ewa Cybuliski (Marion Cotillard) esterna il proprio drammatico imbarazzo a Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), l’uomo che la sfrutta e la salva nell’impatto con la metropoli americana. E’ il 1921, la donna è sbarcata a New York insieme alla sorella Magda (Angela Sarafyan), hanno lasciato la Slesia alla ricerca di una vita migliore. I due titoli, l’originale The Immigrant e la traduzione italiana, si completano a vicenda, il primo puntando di più sulla dimensione personale e il secondo indicando la valenza storica della situazione, la quale è comunque configurata dal regista secondo un retrosentimento dichiarato verso il melodramma e in particolare il pucciniano “Suor Angelica” (1918) – ma si odono anche brani di Wagner, di Gounod e si vede un Caruso cantare nella bolgia dei locali dove si ritrovano gli immigrati nell’attesa di seguire il proprio destino. La memoria personale è data dalla storia dei nonni di James Gray, emigrati in America nel 1923 da Ostropol, città non lontana da Kiev. Toccò a loro, come a moltissimi altri che fecero parte di quel flusso, di passare per Ellis Island, luogo di raccolta e selezione degli immigranti, rimasto poi intatto fino a quasi tutti gli anni ‘8o. E questa è appunto l’ambientazione del film. Personaggio centrale è Bruno, sfruttatore di donne che organizza per spettacoli ambigui e per sotterranea prostituzione (siamo nel proibizionismo), approfittando soprattutto del disagio straniante dei nuovi arrivati. Bruno è una figura complessa, non totalmente “cattivo”, con una quota di “umanità” corposa, è un uomo ruvido capace anche di innamorarsi. E’ ciò che gli succede con l’arrivo di Ewa, ragazza gentile, delicata, la cui bellezza è nettamente al di sopra delle altre del gruppo. Ma Ewa ha pure un carattere di ferro. Deve assolutamente rintracciare e salvare la sorella malata, sottrattale all’arrivo per via della selezione sanitaria. E non baderà agli ostacoli da superare né ai mezzi da usare. Le due figure si integrano a vicenda, incontrandosi e scontrandosi durante il racconto, mescolando “male” e “bene” in un vortice appassionante, melodrammatico appunto, che in alcuni momenti sconfina nella violenza e in altri intenerisce il cuore. Fa parte dell’intreccio un terzo polo, solo apparentemente d’importanza laterale: è Orlando (Jeremy Renner), cugino di Bruno, “mago” di mestiere, romantico rappresentante del “Sogno Americano”. L’uomo appare e scompare periodicamente nella vita di Bruno, i due cugini sono da sempre uniti e separati da un conflitto destinato a risolversi male. Ewa viene sfiorata solo per un momento dal fascino di Orlando, da un possibile volo verso un’esistenza risarcitoria della profonda sofferenza a cui sembra essere condannata. Ed è qui anche il punto di maggiore esposizione emotiva per Bruno, il quale sembra vicino al cedimento sentimentale, fino al finale “generoso” che lo vedrà acquietato per la soluzione del problema di Ewa e della sorella di lei finalmente recuperata. Attento alla tradizione del cinema (Dreyer, Bresson, Fellini sono gli autori esplicitamente indicati), Gray si muove rispettosamente nell’alone classico della metafora, lasciandosi attrarre dalla valenza fiabesca della vicenda narrata. E’ una scelta che, da una parte, lo porta a conservare nel sottofondo scenico il mito di un’America “difficile” e scabrosa da vivere e, dall’altra, gli rende il sentiero della rappresentazione estetica meno arduo da percorrere, secondo un andamento, alla fine, gratificante.
Franco Pecori
16 Gennaio 2014