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Doraibu mai kā
Regia Ryûsuke Hamaguchi, 2021
Sceneggiatura Ryûsuke Hamaguchi, Takamasa Oe
Fotografia Hidetoshi Shinomiya
Attori Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura, Masaki Okada, Reika Kirishima, Park Yurim, Jin Daeyeon
Premi Cannes 2021: sg. Golden Globe 2022: film str. Oscar 2022: Film internazionale.
La storia di un uomo di teatro che supera il trauma della morte della moglie grazie all’incontro con una giovane autista. Sì, certo. Un film di parole? Sì, il problema è Anton Pavlovic Cechov. “Checov è terribile, quando dici le sue battute tiri fuori te stesso, non posso più sopportarlo”, dice Yûsuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), regista teatrale impegnato in un rifacimento multilingue (compresa quella muta) dello Zio Vanja. Yûsuke sceglie il giovane Koshi Takatsuki (Masaki Okada) per il ruoto del protagonista, ma l’attore è stato uno degli amanti di sua moglie, la sceneggiatrice Oto Kafuku (Reika Kirishima), e si autodistrugge fino a farsi arrestare, non senza prima aver cercato un’amichevole complicità introspettiva con lo stesso regista. Cechov non è cinema e questo è un altro problema. La lettura delle parti in fase di preparazione mette gli attori prescelti in un certo imbarazzo: “Non dovete ‘fare meglio’ – raccomanda il regista – ma semplicemente leggere il testo”. Un consiglio metodologico non da poco. Ma è davvero difficile per Yûsuke mantenere una giusta distanza tra la propria vicenda personale – la morte improvvisa di Oto e la necessità di elaborare il relativo dolore, con in più la presenza del giovane ex amante (uno dei tanti) della defunta – e l’utilizzo di componenti artistiche d’avanguardia, per un teatro che nelle forme rielaborative non rinuncia a conservare la radice classica del racconto. Un breve flash sulla cerimonia funebre per Oto non porta in zona Oshima. Tra gli oggetti dell’opera, una fiammante Saab rossa (non è la Gran Torino che Eastwood teneva in garage), che Yûsuke fa guidare a Misaki (Tôko Miura, brava), giovane autista che rivelerà in crescendo una profondità esistenziale ben oltre la presenza al volante ( Yûsuke Kafuku, colpito da un male all’occhio, non può più guidare). Siamo anche a Hiroshima. E non è Resnais. Le tre ore del film non bastano. Risulteranno ridondanti per il senso complessivo le sequenze di fantasesso iniziali. Ben attrattivo, invece, il disegno narrativo. Si pensi ai ripetuti trasferimenti da un linguaggio all’altro e da un livello all’altro del discorso drammaturgico. Non solo i tragitti in macchina e le soste riflessive a sfondo marino, ma le prove all’aperto: “Qualcosa è successo tra gli attori – dice il regista – ora portiamolo al pubblico”. Una contestazione del senso, basica rispetto al narrare. Dettagli raccontati, riflessioni stravolte dal segno emotivo, in discrezione, senza “realismo”. In trasparenza (fotografia aderente), in nettezza emotiva. Tratto dal racconto “Uomini senza donne” di Haruki Murakami. Il regista giapponese Ryûsuke Hamaguchi ha vinto il Leone d’argento a Venezia 2020 per la regia di Sky no Tsuma / Moglie di una spia.
Franco Pecori
23 Settembre 2021