Ci vediamo domani
Ci vediamo domani
Regia Andrea Zaccariello, 2013
Sceneggiatura Andrea Zaccariello, Paolo Rossi
Fotografia Giancarlo Lodi
Attori Enrico Brignano, Burt Young, Ricky Tognazzi, Francesca Inaudi, Giulia Salerno, Liliana Vallasciani, Andrea Mianulli, Giovanna Matechicchia, Luca Avagliano, Corinne Jiga, Salvatore Cantalupo.
Paradosso esistenziale con qualche rischio di “sapienza” o, se preferite, di dose eccessiva di sale nel piatto preparato con la cura di un vero cuoco. Andrea Zacariello, frequentatore premiato di festival di corti, da Roma a Sorrento, da Clermont-Ferrand a Locarno, fino a Berlino e a Santiago del Cile, nonché apprezzato regista di spot pubblicitari, per il suo primo lungometraggio si avventura in un’operazione che fa pensare, mutatis mutandis, al metodo dantesco di parlare di cose “alte” in una forma “bassa” (divina/commedia). La notizia scientifica, proveniente dall’Università La Sapienza Di Roma, di un paesino del Lazio, Campodimele, popolato da persone in età molto avanzata, le cui caratteristiche cliniche presentano una sorta di mutazione genetica, con valori bassi di colesterolo e una “protezione” dalle ischemie legate all’aterosclerosi e al diabete, gli richiama l’idea e il mistero di un’immortalità da toccare – per così dire – con mano. E costruisce, con l’aiuto di Paolo Rossi, una sceneggiatura che mette al centro della storia “curiosa” il caso estremo di Marcello Santilli (Enrico Brignano), un quarantenne dei nostri giorni, il quale sopporta sulle proprie spalle il peso di una vita “sfortunata”. La moglie lo ha lasciato, la figlia undicenne è scettica sulle sue “difficoltà”, i fondi scarseggiano, i debiti salgono, la vocazione della cucina e di un ristorante è sempre più un sogno lontano. Ma ecco finalmente l’idea nuova e definitiva. C’è in Italia un piccolo borgo abbandonato dove sono rimasti soltanto alcuni novantenni. Marcello viene a saperlo da un trafiletto di giornale e una lampadina gli si accende: è la svolta, il lavoro sicuro, aprirà in quel piccolo paese un’attività di pompe funebri. L’attesa dei primi affari non potrà essere troppo lunga. A questo punto il racconto si vuol vestire di una forma fiabesca, cercando limiti e contorni paradossali dal sapore di un umorismo dolce, quale si addice alla personalità dell’attore protagonista, buono/cattivo e romanesco come il mitico Albertone e arreso però al fato che premia il sarcasmo utile e comprensivo. La troupe si piazza, per analogia con lo spunto di partenza, in un luogo ideale e insieme concreto che risponde al nome dell’antica Masseria Lupoli, nel territorio di Taranto: una torre medievale, una chiesa del Seicento, le stalle, i dormitori, è un set/universo che sembra attendere nient’altro che i personaggi del film. L’affarismo disperato di Marcello si attenua man mano e si rassegna all’andamento quotidiano che ci fa sentire “eterni” solo perché possiamo dire, giorno per giorno: “Ci vediamo domani”. Ecco che i vecchi non muoiono, pensano a passare la giornata senza pretese, lontano delle illusioni della “modernità”. E Marcello viene conquistato da quella “bontà” naturale, non si limita più ad attendere la morte dei paesani per averne il vantaggio da imprenditore, finisce anzi per aiutarli nel vivere “sano”, immedesimandosi anche nelle loro storie personali. L’autore lavora un po’ di fantasia e a tratti esagera forse in rimandi metaforici e in didascalie filosofiche che frenano il ritmo narrativo senza tuttavia abbandonarlo per un passaggio all’astrazione. Il film soffre un po’ di tale ambiguità, ma il segno è delicato e Brignano si mostra spiritosamente disponibile alla traduzione fiabesca di un’aspirazione che circola oggi nell’aria, di uno sguardo all’indietro, non per una retromarcia ma per ritrovare il filo di una vita che rischia di essere persa del tutto.
Franco Pecori
11 Aprile 2013