Parasite
Gisaengchung
Regia Bong Joon-Ho, 2019
Sceneggiatura Han Jin Won, Bong Joon Ho
Fotografia Kyung-Pyo Hong
Attori Kang-ho Song, Yeo-jeong Jo, So-dam Park, Woo-sik Choi, Sun-kyun Lee, Seo-joon Park, Ji-so Jung, Jeong-eun Lee, Hye-jin Jang, Myeong-hoon Park, Hyun-jun Jung.
Premi Cannes 2019: Palma d’Oro. Oscar 2020: Film, Film internazionale, Regia, Sceneggiatura originale.
Furbizie geometriche coreane. Scontro di classe, poveri-ricchi in una società ingiusta e non trasparente. L’ambito è, tatticamente, famigliare, ma la situazione narrata ha un portato metaforico estensibile, quasi ovvio. Se viene in mente Un affare di famiglia (Kore-Eda Hirokazu, 2018, vincitore a Cannes), una differenza è però prospettica: nel film giapponese, gli espedienti dal basso per vivere incidevano nella quotidianità del contesto sociale, riflettendosi poi nel nucleo singolo. Il parassitismo di Gisaengchung si contiene – per così dire – all’interno di un universo lucido e teatralmente allusivo. Il senso che ne deriva resta legato allo scenario, circoscritto nello spazio tempo della rappresentazione e si affida al funzionamento meccanico del narrare, verso una soluzione più astratta di quel che diano a vedere le scene truci (meno realistiche che rituali) del sottofinale. Non le riveliamo, diciamo che contengono nel loro stesso modo il potere simbolico sufficiente a “ricomporre” la scena, raffreddandone l’ “immediatezza”. La guerra poveri-ricchi è in atto, ma tra il sopra e il sotto, tra l’esterno e l’interno di due case (un tugurio seminterrato e una villa lussuosa immersa nel verde), un calcolo geometrico è ancora necessario, il futuro va affrontato con lucida pazienza e con in mente un piano “integrativo” (un titolo di studio?), che non lasci alla semplice “ribellione” l’arma del riscatto. Parassita sì, ma oltre il materiale vivere “a spese” di altro (essere o esseri), come invece il film, sino a un certo momento, sembrerebbe mostrare. Ecco, mostrare. Con apparente semplice principio di contiguità, il sudcoreano Bong Joon-Ho (già regista di Snowpiercer, 2013, racconto di un treno della sopravvivenza nel mondo ghiacciato) snocciola il susseguirsi di azioni intrusive, furbe, che portano il giovane Ki-woo (Woo-sik Choi) e poi sua sorella Ki-jung (So-dam Park) e quindi il padre Ki-taek (Kang-ho Song) e la madre Yeon-kyo (Yeo-jeong Jo) dei due ragazzi a occupare i posti di “servizio” nella villa lussuosa dei ricchi Geun-se (Myeong-hoon Park) e Chung-sook (Hye-jin Jang). Le modalità dell’intrusione progressiva tengono il racconto sul filo della commedia fredda e intelligente (“I ricci sono gentili, il denaro è un ferro da stiro, le grinze si appianano”, osserva Yeon-kyo). Man mano, con elementi che non anticipiamo, il gioco si complica e si trasforma, arrivando anche a proporre una componente noir/horror. Gustosa comunque la condizione del lusso, complementare alla paura della Corea del Nord (il rifugio sotterraneo) e turbato da disturbi della psiche convenzionali quanto impropri. Il piccolo Da-song (Hyun-jun Jung) soffrirebbe di strani incubi e annusa l’odore dei “poveri”. Si arriva alla fine alquanto stressati dall’equilibrio coatto (geometrico) del proseguire aprospettico delle sequenze, spargimento di sangue incluso: non-salvati, in extremis, dalla riserva progettuale “onesta” manifestata da Ki-woo, nonostante la sua furbizia motrice. Una questione, alla fine, di cuore? Il ragazzo ha insegnato l’inglese alla figlia dei ricchi, aspetterà che lei si laurei. [Aggiornamento 10 febbraio 2020]
Franco Pecori
7 Novembre 2019