The Post
The Post
Regia Steven Spielberg, 2018
Sceneggiatura Liz Hannah, Josh Singer
Fotografia Janusz Kaminski
Attori Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenbkirk, Tracy Letts, Bradley Whitford, Bruce Greenwood, Matthew Rhys, Alison Brie, Carrie Coon, David Cross, Jesse Plemons, Michael Stuhlbarg, Zach Woods.
Prima del Watergate. Il Washington Post, giornale “minore” rispetto al New York Times, riuscì nel 1971 a utilizzare le carte segrete del Pentagono riguardanti la “Storia delle decisioni U.S. in Vietnam”. Entriamo con Steven Spielberg nel mondo del giornalismo investigativo (Josh Singer è lo stesso sceneggiatore di Spotlight) e vediamo come, approfittando della medesima fonte del grande concorrente, i giornalisti del Post non accettarono l’altolà della Corte Federale al NYT e arrivarono a consegnare ai propri lettori il contenuto dei Pentagon Papers, 7000 pagine contenenti la verità sulle operazioni di guerra e sugli inganni all’opinione pubblica. Su quel fronte che aveva già visto il sacrificio di tanti giovani americani le cose non stavano andando come l’Amministrazione faceva credere. Nella sostanza, il presidente Nixon proseguiva sulla linea bugiarda dei suoi predecessori, Truman, Eisenhower, Kennedy e Johnson. Bastano brevi sequenze iniziali, magistralmente girate dal grande Spielberg, per rinfrescare la memoria su cosa fosse l’impegno dei soldati nella jungla vietnamita. Le notizie da prima pagina entrano in gioco proprio mentre Katharine Graham (Meryl Streep) sta definendo la sua piena operatività – compreso l’ingresso del titolo in borsa – nell’impresa editoriale ereditata dal padre e dal marito. È la prima donna della storia a trovarsi alla testa di un giornale. Al suo fianco, il direttore Ben Bradlee (Tom Hanks), dimostrerà il coraggio, la coscienza e l’ambizione professionali necessarie per un’azione che coinvolg tutto il team, fino al rischio di incriminazione per tradimento. La coppia di attori è di un livello assoluto e però non è facile, quando si è già al massimo, tener fede alla qualità. Mantenendo un tono giustamente contenuto, i due protagonisti gestiscono i momenti più drammatici e la conseguente suspense in perfetto accordo con lo stile della regia. Tra le due figure si avverte anche una tensione personale e una sottintesa attrazione che non emerge in primo piano pur contribuendo notevolmente alla dimensione umana dei personaggi. Decisivo il merito di Spielberg, di muovere la macchina negli ambienti lavorativi – specialmente la redazione del giornale – senza farne sentire la portanza “scenica”. Siamo in un realismo non-documentario proprio dell’arte autentica, consapevole del linguaggio. Lo sguardo d’ambiente è profondo, verosimile e insieme del tutto funzionale al narrato, non si nota alcun passaggio forzoso. Da portarsi “a casa” i dettagli nella tipografia, l’immagine rapida e profondamente emozionante della composizione del testo con i blocchetti dei caratteri di piombo. Il loro peso anche estetico definisce, di per sé, l’incidenza culturale e civile dei materiali nella trasmissione del dato storico. E d’altro lato, la dialettica tra lavorativo e familiare, sia di Ben che di Kat, non rischia di bloccarsi in finestre situazionali, partecipando invece in perfetta continuità all’evolversi della storia, sul limite del thriller e mai fuori dal dramma. Pleonastico indicare la forza del tema. Basterà riportare qui qualche parola della sentenza con cui la Corte Suprema chiuse il caso dell’inchiesta del New York Times e del Washington Post. Il giudice Hugo Black: “Solo una stampa libera e senza costrizioni può effettivamente rivelare gli inganni del Governo”. Al di là della frase ad effetto che un giornalista può ripetere nelle buone occasioni (“Una notizia è la prima bozza della storia”, diceva il marito di Katharine), l’istanza democratica della libertà di stampa come bene primario lega le diverse fasi della storia di un grande paese quale l’America, anche e soprattuto nei passaggi da un’amministrazione all’altra, quando possono emergere insoddisfazioni e ingiustizie, inganni e errori gravi verso un intero popolo. La scena finale di The Post, con il “suggerimento” di Spielberg a seguire la vicenda nel successivo capitolo del sacro diritto alla cronaca – lo scandalo del Watergate che portò alle dimissioni di Nixon, nel film di Alan Pakula Tutto gli uomini del Presidente 1976 – non è certo un invito all’assuefazione della serialità. Gli è piuttosto che la storia non finisce mai di incuriosirci, se siamo attenti. [Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI]
Franco Pecori
1 Febbraio 2018