Il rifugio
Le refuge
François Ozon, 2009
Fotografia Mathias Raaflaub
Isabelle Carré, Louis-Ronan Choisy, Pierre Louis Calixte, Melvil Paopaud, Claire Vernet, Jean-Pierre Andréani, Jérôme Kircher, Nicolas Moreau, Marie Rivère, Emile Berling, Maurice Antoni.
Torino 2009, Festa mobile.
«Colui che perde la vita un giorno la ritroverà». Le parole sacerdotali al funerale di Louis/Poupaud, morto per overdose, ci dicono subito che siamo nell’ambito della fede cristiano/cattolica, vissuta con spirito contemporaneo. Ozon, dopo l’invenzione visionaria, provocatoria e mal riuscita, del neonato vero che vola con le ali finte (Ricky – Una storia d’amore e libertà, 2008), esce dalla metafora simbolica e rientra in sé, a trattare tematiche dei nostri giorni con adeguato spirito d’impegno. Qua e là fa capolino la predica («siamo nati per soffrire»), appiccicata sul pancione della protagonista, Mousse/Carré, in indebiti siparietti didascalici, ma in generale il film mantiene una degna cifra poetica, non di rado vincente sulla piattaforma ideologica. Vero che, oggigiorno, un gay ha bene il diritto di aspirare alla paternità – e il fratello adottivo del marito morto di Mousse, mentre fa da sponda sentimentale alla giovane vedova incinta, trova il tempo di una visitina in chiesa dove accende una candela a un “San Giuseppe con Bambino” -, ma è anche vero che il contesto è fluido e a ciascuno è lasciato lo spazio emotivo di crescita e di evoluzione in una vita propria, che sia frutto di una scelta, di una presa di coscienza autonoma. Mousse (attrice brava, doppiata forse con un tantino di accentuazione “nervosa” che a tratti finisce per attenuare le aperture interpretative), rifugiatasi in una villa di campagna in vista del mare, ha voluto portare a compimento la propria gravidanza da drogata sotto metadone, ma al dunque lascia a Paul/Choisy, simpatico “cognato”, il compito di trastullare il pargolo, magari con la promessa di tornare, un giorno, a riprendersi il ruolo di madre. Intanto Paul potrà continuare la relazione con Serge/Calixte, in un’armonia pressoché universale. Il quadro assume perfino un tratto mistico/misterico se si tiene conto della battuta di Mousse, quando la ragazza si lascia sfuggire, in confidenza con Paul, che non le dispiacerebbe «essere la Vergine Maria». Sogni beati che non fanno male. Ci resta male invece la famiglia borghese di Louis, le cui colpe ricadono con evidenza sui figli. Va riconosciuta a Ozon l’accortezza dello sguardo “consapevole”.
Franco Pecori
27 Agosto 2010