Live! Ascolti record al primo colpo
Live!
Bill Guttentag, 2007
Eva Mendes, David Krumholtz, Eric Lively, Katie Cassidy, Jeffrey Dean Morgan, Rob Brown, Jay Hernandez, Monet Mazur, Andre Braugher, Missi Pyle, Curtis “50 Cent” Jackson, Paul Michael Glaser.
Il problema della televisione non è così semplice: sei concorrenti, 5 milioni di dollari, un solo proiettile nel tamburo di una pistola. Il format della roulette russa in diretta, inventato dalla produttrice di un network americano, Katy Courbet (Mendes), la quale dalla vita vuole una cosa sola, il «40 di share», fa sensazione, ma non è veramente diverso da tutta l’altra Tv. È questo che il film di Guttentag (due Oscar per due documentari, You don’t have to die, 1989, e Twin Towers, 2003) non chiarisce. E venendo da un documentarista, il film si carica anche della responsabilità di una verosimiglianza ambigua, mescolando nella narrazione analogie televisive e rimandi al cinema-verità (Katy è “tallonata” da Rex/Krumholtz, che nel frattempo è impegnato in un film inchiesta proprio su una certa Tv). Si rafforza così l’idea della giustezza della tesi morale: il “reality” è la nostra rovina. Purtroppo il guaio sta più in basso. Il problema della televisione è l’equivoco che trasmette, di essere semplicemente il doppio non mediato della “realtà”. Sicché ci possiamo scandalizzare per la “morte in diretta” mentre prendiamo per documenti “diretti” le banalità usuali e gli indici di comportamento che quotidianamente vanno a formare il nostro “normale” immaginario. Sarebbe già qualcosa se di Live! si apprezzasse quello che ci è parso il vero momento critico: nella selezione dei concorrenti e cioè nella costruzione delle loro figure rappresentative di un ventaglio sociologico che possa colpire la sensibilità del pubblico, le persone si raccontano con un linguaggio che è già il risultato di un’artificiosità. Essi sono già prodotti della televisione prima ancora di diventare personaggi dello show. E proprio per questo vengono scelti. A fronte di tale analisi, il contrasto tra dirigenti del netwotk, che finiscono per convincersi di stare impegnandosi per la «libertà di pensiero», e i dimostranti che contestano il programma gridando «No all’immoralità» risulta debole, interno alla “filosofia” televisiva. Brava comunque la protagonista ad immedesimarsi nella parte. A livello di sceneggiatura, il film presta il fianco a qualche rischio di troppo, lasciando allo spettatore l’ipotesi, catastrofica per il successo dello show in diretta, di scansioni diverse nel gioco della pistola. Per esempio, muore il primo concorrente, oppure sopravvivono i primi cinque. L’ultimo che dovrà fare? Si scopre, in fondo, che per contestare una certa Tv si usano gli stessi suoi mezzi. Soltanto, al cinema. Viene in mente l’epoca “primitiva”, quando le sale cinematografiche, per evitare il vuoto in concomitanza con la trasmissione di Lascia o raddoppia, offrivano agli spettatori del giovedì sera la possibilità di seguire il quiz sui televisori appositamente allestiti.
Franco Pecori
6 Marzo 2009