E se vivessimo tutti insieme?
Et si on vivait tous ensemble?
Stéphane Robelin, 2011
Fotografia Dominique Colin
Guy Bedos, Daniel Brühl, Geraldine Chaplin, Jane Fonda, Claude Rich, Pierre Richard, Bernard Malaka, Camino Texeira, Gwendoline Hamon, Shemss Audat, Gustave de Kervern.
Locarno 2011, Piazza Grande.
La commedia italiana degli anni ’60 e ’70 ha trasmesso anche il suo lato migliore, fatto di leggerezza e insieme di riflessione su alcuni temi della vita. Il francese Stéphane Robelin, estimatore di Scola, Risi, Ferreri e Moretti, ritaglia con delicata discrezione un quadretto di anziani che decidono di vivere in “comunità” i loro ultimi anni. Jeanne (Fonda) e Albert (Richard) ospitano nella loro casa Annie (Chaplin) e Jean (Bedos). Sono due coppie di amici da sempre, con loro c’è anche Claude (Rich), single per vocazione e non ancora rassegnato al riposo del sesso. Tutti insieme arrivano alla vecchiaia con l’animo di quando erano giovani e anche consapevoli della fase che devono affrontare. Uno studente di etnologia, Dirk (Brühl), li assiste e li coccola. Robelin ha costruito un film di situazione, poggiandone lo sviluppo essenzialmente sulla simpatia dei personaggi e sulla capacità di essere “veri” che proviene da interpreti come quelli assemblati per l’occasione, una rappresentanza importante del grande cinema ormai classico, specialmente sul versante della commedia. È emozionante per lo spettatore appassionato vedere dei miti viventi mettersi in gioco con sapiente naturalezza, indossando i propri panni e dando vita a un insieme affiatato pur mantenendo ciascuno la propria spiccata personalità. E infatti, non mancheranno le novità anche rispetto a se stessi, a tutto ciò che hanno creduto di sapere l’uno dell’altro e che si rivelerà sorprendentemente “insufficiente”, procurando meraviglia, dolore e perfino nuovi affetti. Il tema della vecchiaia ai nostri tempi, così spesso crudeli verso il fine-vita, è trattato con profondo rispetto ma senza rinunciare a una vicinanza “diretta”, che registrasse il verosimile quasi per un documentario. Ne traspare l’amore autentico per il cinema e la sua storia oltre che l’interesse per i rimandi sociali e psicologici da cui proviene. Al suo secondo lungometraggio (ma il primo, Real Movie, realizzato nel 2004, era ancora un tentativo girato in digitale e senza mezzi), Stéphane Robelin ha saputo trattare con commovente partecipazione e con allegria temi come la solitudine degli anziani, la perdita di memoria, la scarsa autonomia e il lutto. Spiritoso e toccante il personaggio di Jeanne, scrupolosa nel preparare i dettagli del proprio funerale e dell’ambiente che in futuro dovrà accogliere gli amici visitatori. Nel finale, quando vediamo Annie con loro, di spalle, allontanarsi dopo il rito, inevitabile un flash della memoria su Charlot in coda ai film muti di Charlie Chaplin.
Franco Pecori
29 Novembre 2012