Final Portrait – L’arte di essere amici
Final Portrait
Regia Stanley Tucci, 2017
Sceneggiatura Stanley Tucci
Fotografia Danny Cohen
Attori Geoffrey Rush, Arme Hammer, Tony Shalhoub, Sylvie Testud, Clémence Poésy, James Faulkner.
“Non riuscirò mai a dipingerti come ti vedo. È impossibile”. Paradosso teoretico dell’arte. Le parole sono del grande artista svizzero Alberto Giacometti (1901-1966), parole rivolte allo scrittore e critico americano James Lord, incontrato a Parigi e al quale Giacometti chiese, nel 1964, di sottoporsi a posare per un ritratto. Il lavoro sarebbe dovuto durare un pomeriggio ma si protrasse per 18 giorni, durante i quali il pittore espresse i tratti essenziali del suo modo di esistere e di fare i conti con la problematica estetica e psicologica della propria creatività. Con questo film, tratto dal romanzo autobiografico dello stesso Lord, “Un ritratto di Giacometti”, l’attore Stanley Tucci (Era mio padre, The Terminal, Il diavolo veste Prada, Captain America, Hunger Games, Il caso Spotlight) è alla quarta regia (Big Night 1996, Gli imbroglioni 1998, Il segreto di Joe Gould 2004). Non si tratta di un generico biopic, si ritaglia invece un momento della vita dell’artista per rendere lo spirito e il senso della sua arte, almeno in un tratto, l’ultimo e forse decisivo, del suo lavoro. Giacomettì morì due anni dopo aver lavorato a quel ritratto (venduto nel 1990 per 20 milioni di dollari). Scultore, pittore, incisore post-impressionista, prima surrealista e poi realista/naturalista e anche vicino all’Esistenzialismo per il tema del rapporto “impossibile” tra arte e “cose” e tra gli esseri umani, Giacometti avvertì in profondità il senso di un passaggio epocale nel campo espressivo. Fu consapevole, per l’affermarsi della fotografia, di una crisi della ritrattistica, tanto da tentare più volte – lo vediamo nel film – di “arrendersi” di fronte all’arduo compito di “finire” l’opera. Il tema, anche rapportato agli anni in cui si colloca il film – è il periodo, dopo l’esplosione dell’arte “contemporanea” nei primi decenni del Novecento, della profonda riflessione sulle problematiche dei linguaggi e della loro riconsiderazione -, è un tema di grande e decisiva importanza per tutto lo sviluppo delle possibili “letture” nel campo delle nuove funzionalità dell’espressione, nel rapporto con una corretta articolazione di forma e contenuto, nell’uso dei materiali, nelle prospettive culturali che porteranno fino ai nostri giorni. Tucci ha scelto bene nell’affidare alle spiccate doti interpretative di un attore come l’australiano Geoffrey Rush (il Capitan Barbossa della serie “Caraibi”!) il compito duplice, di rendere il carattere del personaggio Giacometti e, insieme, la rilevanza “filosofica” del comportamento artistico. Traspare un lavoro di “alleggerimento” della materia, offrendo spazio ai dettagli del “vissuto” – siamo quasi sempre all’interno della casa/studio del pittore/scultore -, con le non irrilevanti presenze di Annette (Sylvie Testud), moglie dell’artista, e della prostituta/amante Caroline (Clémence Poésy), nonché di Diego (Tony Shalhoub), fratello di Giacometti. Per la figura attrattiva dell'”oggetto” in posa (James Lord) è stato scelto Arme Hammer (Animali notturni, Chiamami col tuo nome). Ne risulta un simpatico “filmetto”, giusto combinato di qualità dimostrativa e di corretta allusività estetica. Il tema dell’amicizia non c’entra.
Franco Pecori
8 Febbraio 2018