Gli Stati Uniti contro Billie Holiday
The United States vs. Billie Holiday
Regia Lee Daniels, 2021
Sceneggiatura Suzan-Lori Parks
Fotografia Andrew Dunn
Attori Andra Day, Trevante Rhodes, Natasha Lyinne, Garrett Hedlund, Miss Lawrence, Rob Morgan, Da’Vine Joy Randolph, Evan Ross, Tyler James Williams, Tone Bell.
Premi Golden Globe 2021: Andra Day art.
New York City, 17 luglio 1959. Al Metropolitan Hospital muore, a 44 anni, Billie Holiday, la più grande cantante di jazz dopo Bessie Smith. Ricoverata per un attacco di epatite, perseguitata dagli uomini della Narcotici, The Lady (Audra Day) fu arrestata nel suo stesso letto. Harry Jacob Anslinger (Garrett Hedlund), ispettore del Bureau of Prohibition, fece in modo di far trovare nella camera un certo quantitativo di droga. La colpevolezza di Billie era soprattutto di essersi ostinata a cantare Strange Fruit, ballata di denuncia contro i linciaggi governativi, composta da Abel Meeropol, un “fottuto comunista”. Il grande successo dell’arte musicale di Billie (bastino le performances accanto ad un sassofonista come Lester Young), non solo nei club dedicati ma nei principali teatri della scena mondiale (Carnegie Hall, per dire), aveva reso il messaggio sempre più difficile da tollerare. All’inizio del film di Lee Daniels (già regista di The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca 2013), il mitico Reginald Lord Divine intervista Billie per la radio: “Com’è essere una donna di colore?”. La risposta è: “Farebbe una domanda come questa a Doris Day?”. Di fronte alle difficoltà crescenti causate alla cantante dalla ripetuta, appassionata e provocatoria interpretazione di Strange Fruit, Lord Divine arrischia un bonario interrogativo: “Perché insistere con quella canzone?”. Billie Holiday non ne terrà conto. Non si può arrestare un negro perché canta una canzone. Ma The Lady sarà una tossicodipendente. Una volta celebrati i funerali, John Kennedy in persona firmerà il riconoscimento al valore di Anslinger, cittadino illustre: “Si è guadagnato il rispetto della comunità mondiale”. Daniels non si ferma allo stile “biografico”, ma sceglie gli eventi in una successione aderente al senso complessivo di una presenza estetica provocatoria, testimoniale, storicamente incancellabile. Ma non è un “documentario”. Il sentimento di tutta una vita sofferta nel contesto di una società contraddittoria pervade gli episodi lungo le svolte esistenziali della bambina (nel bordello con la mamma) e della donna, soprattutto dell’artista. Il dolore per l’amore sofferto e tradito verso il “soldatino” Jimmy Fletcher (il Trevante Rhodes di Moonlight), federale e doppio; l’angoscia per la spinta musicale da sostenere nel contesto di contorni segnati dalla storia “ingiusta” e avversa: una crescita del sentimento affidata a capolavori sublimi che il film non trascura di offrire all’ascolto in una versione corretta, grazie alla presenza, anche scenica, di Andra Day. Cantante e attrice scrupolosa nell’immedesimazione quanto lucida nella trasmissione del senso di una vicenda difficile da preservare fuori da schematismi in agguato (si può essere didascalici “buoni” e poeti “cattivi”, non cambia il problema del senso), la protagonista merita riconoscimenti assoluti. Da non tralasciare la proposta dei più noti pezzi musicali, rispettosamente montati senza spreco di immagini, bensì uniformati al loro valore espressivo originario. Inutile farne l’elenco. Tutto comincia nel 1939, al Cafe Society, il “posto sbagliato per la gente giusta”. Lena Horne chiede le mance e mette i biglietti tra le gambe, Billie canta All of Me. C’è anche Orson Welles. Vedremo la registrazione di Solitude, V-Disc per i combattenti, con Armstrong. Southern trees bear strange fruit / Blood on the leaves and blood at the root / Black bodies swingin’ in the Southern breeze. Gli alberi del Sud hanno uno strano frutto / sangue sulle foglie e sangue alla radice / Corpi neri oscillano nella brezza del sud.
Franco Pecori
5 Maggio 2022