Ruggine
Ruggine
Daniele Gaglianone, 2010
Fotografia Gherardo Gossi
Filippo Timi, Stefano Accorsi, Valerio Mastandrea, Valeria Solarino, Giampaolo Stella, Giuseppe Furlò, Giulia Coccellato, Giacomo Del Fiacco, Leonardo Del Fiacco, Annamaria Esposito, Alessia Di Domenica, Giulia Geraci, Michele De Virgilio, Anita Kravos, Giuseppe Vitale, Cristina Mantis.
Venezia 2011, Giornate degli Autori
Nella periferia degradata di una grande città del Nord (Torino), Sandro (Accorsi), Carmine (Mastandrea) e Cinzia (Solarino), immigrati meridionali, si portano dentro la vicenda di pedofilia che ha toccato drammaticamente la loro infanzia, quando facevano parte di una banda di ragazzini il cui teatro di giochi era un vecchio stabilimento abbandonato, nient’altro che un ammasso di ferri vecchi pieni di ruggine. Ora Sandro tira avanti alla meglio facendo traduzioni e cerca di intrattenere il figlietto inventando per lui storie e lotte fantastiche, ma si vede che qualcosa lo turba e lo porta fuori misura. Carmine sembra il più “danneggiato” psicologicamente, bivacca al bar sempre sul punto di buttar fuori il “rospo” che non gli dà pace. Cinzia cerca equilibrio insegnando a scuola Arte e Immagine e combattendo, per quel che può, a difesa di ragazzi dalle problematiche che le ricordano in qualche modo la propria. La vicenda turpe ha per protagonista il medico di zona, Dott. Boldrini (Timi), la cui figura acquista rilievo e dona suspence al racconto man mano che la regìa entra nella sensibilità dei tre protagonisti con un lavoro di dettagli più che di memoria/flash. Tutto è sempre “presente” nella scansione delle sequenze e tuttavia le singole scene mantangono un’articolazione logica molto chiara. Qui è il punto critico del film, tratto dal romanzo di Stefano Massaron. Si avverte infatti la disomogeneità tra due modi di condurre la regia. Per un verso, Gaglianone conferma la propria scelta di un cinema di poesia rivolto specialmente a personaggi e situazioni del tipo “adolescenze spezzate” (Nemmeno il destino, 2004) o “vite emarginate” (Pietro, 2010), puntando a coglierne l’essenza con un lavoro di taglio e dettaglio che lascia respirare le inquadrature secondo il ritmo di un’osservazione appassionata; d’altro canto però, il regista sente il bisogno di un’interpunzione didascalica, che rischia di attenuare di molto il valore estetico della prima scelta. Un esempio arriva subito ad apertura di film, quando Cinzia bambina (brava Coccellato), seduta su un mucchio di terra con alle spalle uno scorcio del quartiere degli Alveari, spara al suo amichetto la battuta: «Qua le donne fanno solo figli e salse di pomodoro». Poi Timi (una caratterizzazione la sua, più che la costruzione del personaggio), sottolinea la propria perversione sussurrando fra i denti arie liriche “significative” (per esempio, “una furtiva lacrima”) e, al culmine della propria tragedia, tira fuori Hitler: «Se avesse vinto, saremmo molti di meno». Nemmeno Mastandrea riesce del tutto a scrollarsi di dosso il peso del “peso” psicologico che sta sopportando ormai da una trentina di anni (non riveliamo il particolare). La più credibile, nonostante la rappresentazione schematica del consiglio di classe a cui la vediamo partecipare da insegnante, risulta Solarino, misurata e riflessiva nella segreta sofferenza e portatrice di una coscienza sociale non urlata ma trasparente.
Franco Pecori
2 Settembre 2011