Cloverfield
Cloverfield
Matt Reeves, 2008
Lizzy Caplan, Jessica Lucas, T. J. Miller, Michael Stahl-David, Mike Vogel, Odette Yustman, Blake Lively.
Parafrasando, YouTube, Caution. E’ una specie di lussuria del cinema quella che deve aver spinto Reeves (Tre amici, un matrimonio e un funerale) a far finta che fosse la piccola telecamera di Hud (Miller), uno dei ragazzi invitati alla festa con cui Rob (Stahl-David) vuole salutare gli amici prima di andarsene in Giappone per lavoro, a riprendere le sconvolgenti immagini di Manhattan distrutta improvvisamente dalla furia di un mostro misterioso e gigantesco. E’ una festa di giovani, normale, un po’ allegra e un po’ malinconica; una festa di addio, che segnerà forse una svolta nella vita del gruppo, amicizie e promesse d’amore comprese. Hud registra i saluti a Rob, primi piani un po’ imbarazzati di un rito privato e risaputo. Poi, di schianto, il boato e uno scossone che fa tremare la casa e fa pensare a un forte terremoto. Tutti di corsa su per le scale. Dal terrazzo lo spettacolo impressionante di grattacieli in fiamme e scardinati da una forza sconosciuta. Il pericolo è vicino. I giovani si precipitano in strada. Si entra in un tunnel spaventoso, in un incubo progressivo che toglie il respiro. Hud è con Rob e continua a registrare immagini “dirette”, scomposte. Ed è proprio tale sembianza casualmente dilettantistica a togliere il respiro. La telecamerina è puntata più su particolari ridondanti e ravvicinati che sull’evento oggettivo. Un po’ come si usa ormai anche con l’occhio dei cellulari ad ogni occasione, per poi condividere il proprio video in Internet, sul sito YouTube. Non è solo un fenomeno in rapida espansione, con esso si va piuttosto consolidando un’idea di cinema “dal basso”, un cinema che non ha bisogno di budget e la cui diffusione scavalca d’un balzo le leggi della distribuzione. Ovviamente è anche una questione estetica. E’ fatale che le immagini, mentre diverranno sempre più “soggettive”, difficilmente saranno originali nello stile e risentiranno piuttosto del “già visto” al cinema e alla Tv. Di soggettivo vi troveremo soprattutto la relativa “imperizia” dell’operatore. Tuttavia, potrà essere la quantità, la polverizzazione dello sguardo, a determinare una sorta di ristrutturazione creativa, complessivamente considerabile, essa sì, come “originale”. In questo senso, YouTube si mangia il cinema, lo divora, lo digerisce alla svelta e quindi lo restituisce ai posteri/contemporanei in forma nuova, semplificata, come un misterioso notebook rinato dal contatto intimo, inconscio e lussurioso, con le cineteche della storia. Il problema, però, è che in questo Cloverfield il trifoglio vive di vita impropria, immemore della password per YouTube e ospite straniato in sala. Può contare forse sull’immediatezza del successo presso spettatori “nuovi”, stanchi del cinema prima ancora di cominciare a frequentarlo. Ma Caution, una diretta senza procedimento, un cinema senza cinema, una lussuria vissuta e non raccontata sono illusioni che consumano linguaggio più di quanto producano senso. Forse è questo il mostro che può distruggere le città.
Franco Pecori
1 Febbraio 2008