Alla ricerca di Nemo
Finding Nemo 3D
Andrew Stanton, Lee Unkrich, 2003- 2012
Animazione
Oscar 2004, film animazione.
I colori e la strabiliante rappresentazione dell’elemento acqua, difficilissimo per l’animazione, sono stati il maggior fattore attrattivo di Finding Nemo nella versione originaria, capolavoro Pixar-Disney premiato giustamente con l’Oscar. Ora l’edizione in 3D aggiunge emozioni percettive che, diversamente da altri “pompaggi” del genere, sono in sintonia con la qualità non solo tecnica del prodotto. Dato per scontato l’arricchimento “scenico” nelle sequenze sottomarine, il tridimensionale offre stavolta (rarità) una chiave di lettura ulteriore sul versante del contenuto. L’elemento perdita/smarrimento del figlio, con relativa disperazione per le sorti della Famiglia (tema di rilevanza assoluta in tutto il cinema disneyniano), attraverso l’evoluzione dell'”avventura” acquatica (blu e rossa, mare e pesciolino), si precisa verso il finale in una dimensione thriller non solo di genere bensì filosofica più generale: il piccolo Nemo si sta quasi adattando al nuovo (per lui) mondo dell’acquario e alla vita condizionata che quello spazio organizzato comporta ed ecco interviene il pericolo di un fattore esterno – e umano! – in ragione del quale la vita dei pesci, anche dei pesci “condizionati”, è a rischio. Pare infatti che la figlia del dentista, nella cui casa è l’acquario che ospita Nemo, non sia proprio del tutto amica della fauna ittica. La terza dimensione ben si sposa con una problematica non più tanto prevedibile, quasi suggerendo con la sua stessa forma una lettura meno lineare e meglio aderente alle circostanze in cui si trova Nemo. Certo, non è indifferente la condizione di orfano di madre in un contesto che di minuto in minuto mostra tutte le sue sorprendenti e non sempre benevole novità, gli squali, le meduse, le tartarughe marine e, fuori dall’acqua, i gabbiani del porto di Sidney; e soprattutto l’uomo cacciatore subacqueo. Infatti Nemo finisce nell’acquario del dentista. Conosciamo la storia del 2003. Ma ora il 3D accentua la sensazione che da quell’acquario sia necessario andar via, quella prigione la sentiamo ancor più costrittiva e l’esterno ci sembra ancor più invitante. E niente paura, basterà seguire la sorte del pesciolino Nemo. Finalmente liberi, non solo ritroveremo i nostri padri ma riacquisteremo la normale vita di relazione, ci piacerà anche di tornare a scuola. E proprio la scuola ci fa pensare a un’altra storia targata Pixar, storia soprattutto di passaggio, di formazione, la Toy Story del 2010 (Lee Unkrich), terza ripresa delle avventure di giocattoli, la quale appunto sfocia in una acquisizione di coscienza di fronte al pericolo di una fine-vita. Andy andava ormai in college e il suo amico giocattolo Woody aveva il problema, per non morire, di liberarsi dalla fase infantile della compagnia, un po’ come Nemo il quale vuole andar via dall’acquario per non restare vittima di giochi crudeli. Anche nell’animazione di Unkrich avevamo il 3D che veniva in aiuto, a sottolineare l’avvento di una nuova dimensione della storia. Sono i casi di un utilizzo pertinente della tecnologia.
Franco Pecori
25 Ottobre 2012