La cuoca del presidente
Les saveurs du Palais
Regia Christian Vincent, 2012
Sceneggiatura Étienne Comar, Christian Vincent
Fotografia Laurent Dailland
Attori Catherine Frot, Jean d’Ormesson, Hippolyte Girardot, Arthur Dupont, Jean-Marc Roulot, Arly Jover, Brice Fournier, Joe Sheridan, Philippe Uchan, Laurent Poitrenaux, Hervé Pierre, Louis-Emmanuel Blanc, David Houri, Nicolas Chupin.
La storia è vera, la cucina di più. La signora francese Danièle Delpeuch, trascorso da poco il Sessantotto, non esitò a dedicarsi al paté e ai tartufi. Originaria del Périgord, regione della Francia meridionale che conserva importanti segni dell’età della pietra, Danièle colse poi al volo un invito a insegnare e se ne andò in America, portando con sé l’arte della cucina, di una cucina che siamo abituati a pensare raffinata e sofisticata e che per lei era sempre stata soprattutto eredità famigliare diretta, esperienza profonda, interna, culturale e popolare, da tenersi dentro in qualunque occasione. La più curiosa fu quando Danièle venne chiamata all’Eliseo, a cucinare per il Presidente della Repubblica, François Mitterand, dal 1988 al ’90. Roba da scriverci un libro. E infatti, nel 1997 il libro uscì: “Mes carnets de cuisine, du Périgord à l’Élysée”. Dal libro al film, la storia si sostanzia di particolari inventati, i quali però rendono ancor più verosimile e significativa l’esperienza della cuoca venuta dal sud, sicché le ricette e il modo di realizzarle prendono forma di lezione di vita e di filosofia del comportamento, nel confronto di codici diversi e contrastanti quali possono essere il contesto del palazzo presidenziale e l’umore e la sapienza di una pratica come la culinaria, misteriosa e quasi magica nel suo portato “gustoso”. Veste i panni della protagonista Catherine Frot, attrice sensibile ai risvolti psicologici sottili e anche estremi (La voltapagine, Denis Dercourt 2006), o divertente nelle “fughe” fiabesche di situazioni paradossali (Lezioni di felicità, Eric-Emmanuel Schmitt 2008); e non immemore della frequentazione giovanile di un maestro come Alain Resnais (Mon oncle d’Amérique, 1980). La Danièle di Catherine ha il giusto piglio ironico per la situazione vagamente paradossale in cui si viene a trovare il personaggio, la cuoca è “di passaggio” all’Eliseo non più e né meno – intuiamo – di quanto lo sia in ogni realtà che non riguardi la sua specifica passione per la cucina. L’esecuzione delle ricette di famiglia, scrupolosamente realizzate con ingredienti la cui origine – costi quel che costi – è supercontrollata, è l’unica cosa che conti per Hortense Laborie, la cuoca del film. Profumi, sapori, gesti, tempi e risultati si legano indissolubilmente nella persona il cui carattere è indisponibile a compromessi di tipo “sentimentale”. La corte implicita che le viene dal Presidente (lo scrittore filosofo Jean d’Ormesson fa un Mitterand un po’ intellettuale) o l’invidia proiettatale contro dall’esercito di cuochi della casa istituzionale, minacciano l’autonomia di Hortense, la quale un bel giorno scrive due righe e si dimette per trasferirsi nientemeno che in Antartide, a cucinare per gli operai. Avrà un’accoglienza più soddisfacente sul piano “umano” – il regista (Hotel cinque stelle 2006) ci propone di seguire il raffronto attraverso il metodo del montaggio parallelo – e tuttavia, ancora insoddisfatta, la cuoca tornerà alle origini, per recuperare la primaria attenzione verso i tartufi, magari in luoghi perfino più lontani e diversamente accoglienti, come la Nuova Zelanda! Di speciale efficacia le riprese realistiche, in dettaglio, degli ingredienti e delle pietanze pronte per essere portate a tavola, il che sviluppa, per converso, una sorta di emozionante suspense del gusto, in antitesi simbolica con la ritualità fredda e iconologica dell’ambiente presidenziale. Giusto il titolo originale del film, I sapori del Palazzo.
Franco Pecori
7 Marzo 2013