La talpa
Tinker, Tailor, Soldier, Spy
Tomas Alfredson, 2011
Fotografia Hoyte Van Hoytema
Gary Oldman, Kathy Burke, Benedict Cumberbatch, David Dencik, Golin Firth, Stephen Graham, Tom Hardy, Ciarán Hinds, John Hurt, Toby Jones, Svetlana Khodchenkova, Simon McBurney, Mark Strong, Erskine Wylie, Philip Martin Brown, Denis Khoroshko, Oleg Dzhabrailov, Laura Carmichael, Roger Lloyd-Pack, Tomasz Kowalski, Peter McNeil O’Connor, Christian Mckay, Tom Stuart, Arthur Nightingale, Amanda Fairbank-Hynes, William Haddock, Linda Marlowe, Katrina Vasilieva, Sarah-Jane Robinson, Konstantin Khabenskiy, Jamie Thomas King, Philip Hill-Pearson, John Le Carré.
Venezia 2011, concorso.
Una storia intricata. A raccontarla non ci proviamo nemmeno, potranno ben capire i conoscitori di John le Carré (pseudonimo di David John Moore Cornwell), l’autore britannico di grandi classici dello spionaggio quali La spia che venne dal freddo (da cui il film di Martin Ritt, 1965), Chiamata per il morto (film di Sidney Lumet, 1966), e appunto La Talpa, già trasferita sullo schermo con una serie Tv di grande successo, interpretata da Alec Guinness nei panni del protagonista George Smiley. Ha la sua piena dignità anche la scelta di un interprete come Gary Oldman. Lo Smiley di Oldman, glaciale, ha i connotati della spia “perfetta”. Quasi immobile, non insegue e non provoca sparatorie, non lotta e quasi non guarda, eppure osserva e freddamente indaga. Non riusciamo a capire cosa stia pensando e dove voglia andare a parare, non si fida degli altri e sa che gli altri non si fidano di lui. Persone e cose che gli girano intorno formano una rete sottile di allusioni che appartiene alla paranoia tipica del momento storico in cui è ambientata la vicenda, il 1973, quando ancora la “guerra fredda” aveva tutt’altro che esaurito i motivi dei mille sospetti incrociati, non solo tra gli stati coinvolti ma tra le singole pedine di una partita a scacchi infinita. In particolare, la tipica struttura del “c’è uno tra noi” riguarda qui gli uomini dell’Intelligence inglese. Cornwell ha fatto veramente parte di un settore dei servizi segreti, il “Circus”, e ha potuto utilizzare per i suoi racconti l’esperienza diretta. E la formazione culturale, di studioso oxfordiano della letteratura tedesca, gli ha permesso di configurare il suo più famoso personaggio sotto una cifra anche estetica non superficiale. Lo svedese Alfredson (Lasciami entrare, 2008, film dove “il normale e il mostruoso si toccano”) traduce con adeguata dignità formale l’intrigo in sequenza cinematografica, scegliendo uno stile antiemozionale, geometrico eppure attraente. Il senso di un sospetto che si respira, di un contrasto “costitutivo” e insanabile tra fedeltà/amicizia e tradimento si trasferisce in maniera impalpabile dalla trama in giallo anche esistenziale, senza alcuna accentuazione espressionistica e senza didascalie ideologiche. Persino oltre il bellissimo Le vite degli altri (Florian Henckel von Donnersmarck, 2006). Col passare dei minuti, lo spunto del “c’è una talpa (russa) nel gruppo del Circus” lascia luogo a un’intensa per quanto “fredda” rappresentazione della difficoltà dei singoli a rimanere se stessi, a non sminuire la propria umanità pur non escludendo il rischio continuo del tranello spionistico. È una specie di miracolo di equilibrio, giocato sul rispetto di aspirazioni che si misurano con le condizioni materiali di una vita/indagine sul filo dell’inganno/onestà. Ambiguità senza confusione, dinamismo interno nella più estenuante tensione cadenzata in un lungo passaggio slow, come in attesa che il mondo si apra a nuove esperienze.
Franco Pecori
13 Gennaio 2012