La complessità del senso
03 06 2023

Diaz

Diaz
Daniele Vicari, 2012
Fotografia Gherardo Gossi
Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou, Fabrizio Rongione, Renato Scarpa, Mattia Sbragia, Antonio Gerardi, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli, Alessandro Roja, Eva Cambiale, Rolando Ravello, Monica Dean, Emilie De Preissac, Ignazio Oliva, Camilla Semino, Aylin Prandi, Michaela Bara, Sarah Marecek, Lilith Stanghenberg, Christian Blumel, Christoph Letkowski, Ester Ortega, Pietro Ragusa, Gerry Mastrodomenico.
Berlino 2012, Panorama Special: Premio del pubblico.

La guerriglia urbana e le violenze delle forze dell’ordine contro i manifestanti del luglio 2001 durante il G8 a Genova (gli otto “grandi” della Terra riuniti su tre temi principali, scudo spaziale, protocollo di Kyoto, crisi mediorientale e Balcani) fanno ormai parte del “sapere comune”. Le virgolette stanno a indicare un significato alquanto vago di quel sapere, vaghezza omogenea a quella dei fatti, quali ce li ha tramandati la tradizione – sono passati dieci anni e in epoca contemporanea il mito si sviluppa velocemente, rincorso da cronaca e storia in rapida successione. Di preciso restano: lo slogan contro (“Un mondo diverso è possibile”) e la sentenza del tribunale di Genova (appello), arrivata nel 2008: 44 tra poliziotti, carabinieri, guardie penitenziarie, medici e infermieri condannati per abuso di ufficio, abuso di autorità contro arrestati o detenuti, violenza privata. Nella sentenza è precisato che «la mancanza, nel nostro sistema penale, di uno specifico reato di tortura ha costretto il tribunale a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di tortura adottata nelle convenzioni internazionali)». Uno dei manifestanti, Carlo Giuliani, rimase ucciso dal proiettile sparato, secondo il pm, in aria da un carabiniere, e poi deviato da un sasso durante il percorso. Il processo non si è mai fatto. La proposta di legge di una commissione d’inchiesta per i fatti di Genova è stata respinta per due volte dal parlamento italiano. Secondo Amnesty International, in quelle drammatiche giornate genovesi si ebbe «la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale». Non spettava a Daniele Vicari (Velocità massima, L’orizzonte degli eventi, Il passato è una terra straniera) stabilire se così fosse stato. Il film, docufiction esplicita, rappresenta quei fatti con tutta la durezza possibile ma senza pigiare il tasto emozionale, come se il pudore per le sorti umane dei protagonisti, anche anonimi e tuttavia ben “presenti” sulla scena, prevalesse sull’ignominia delle scelte bestiali, non giustificate da alcuna politica. Il picco delle violenze subite dai manifestanti si ha nei locali della scuola pubblica Armando Diaz, uno dei centri del Social Forum, e nel carcere/caserma di Bolzaneto dov’erano stati trasferiti alcuni dei fermati. Il senso complessivo, anche al di là delle riflessioni sulla premeditazione delle azioni e sui trucchi per convogliarne gli esiti, è una nausea del cuore e della mente, una sensazione che si raggruma nello stomaco dello spettatore, contenuta nel buio dell’informazione (i black bloc per esempio) e vagolante nel vuoto degli orientamenti. Sono due ore di “mucchio selvaggio” che fa male al sentimento e rafforza l’ansia di scelte più chiare, più oneste, più condivise. Il film sfonda la soglia del documento e non attenua il dubbio che non si sia usciti da quelle atrocità. Bravi gli attori: un sorprendente Elio Germano “dolce” e vittima indifesa, giornalista testimone sbalordito, una Jennifer Ulrich anarchica tedesca massacrata dall’arroganza in divisa, un Claudio Santamaria vicequestore aggiunto, romano e credibile nella semiperplessità del ruolo.

Franco Pecori

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13 Aprile 2012