Attacco al potere
Olympus Has Falle
Regia Antoine Fuqua, 2013
Sceneggiatura Creighton Rothenberger, Katrin Benedikt
Fotografia Conrad W. Hall
Attori Gerard Butler, Aaron Eckart, Morgan Freeman, Angela Bassett, Ashley Judd, Dylan McDermott, Melissa Leo, Finley Jacobsen, Cole Hauser, Randha Mitchell, Robert Forster, Rick Yune, Tory Kittles.
Scherzano o fanno sul serio? Viene da dirlo quando vediamo giocare i bambini. Sono talmente immedesimati nei personaggi e nelle situazioni da sembrare non più se medesimi bensì figure “altre”, quelle appunto a cui hanno scelto di dare vita, prendendole dai loro sogni e cioè dal backgroung immaginario che costituisce gran parte del loro paesaggio esistenziale. Lo fanno per gioco, ritagliando un momento dalla vita “reale” e trasformandolo in un altro più vero, più intenso, pur sapendo bene – è il punto – che si tratta di una finzione, un trucco che rende facile il difficile, superabile l’ostacolo, abbattibile il nemico. D’altro canto, possiamo stare sereni, i bambini non lasceranno vincere il Male, nemmeno nelle situazioni più ardue per le sorti dei Buoni. Ciò vale anche quando ciascuno di essi è solo col proprio videogioco. Potrà anche “perdere”, ma a quel punto la sconfitta sarà percepita come fase di un esercizio ripetibile fino alla piena riuscita. Lasciamoli dunque giocare. Il punto è quando sono gli adulti a fare i bambini. Allora dobbiamo domandarci il perché. Nel film di Antoine Fuqua – regista che ha spesso mostrato “confusioni”, se non proprio disastrose almeno ingenuamente provocatorie (Training Day 2001, L’ultima alba 2003, King Arthur 2004, Shooter 2007) – l’attacco alla Casa Bianca da parte di terroristi nordcoreani per prendere in ostaggio il Presidente degli Stati Uniti è raccontato con i particolari di un “gioco” infantile, un divertimento dove i dettagli tecnici, gli oggetti profilmici, le battute del copione, le svolte narrative e perfino i destini della Storia, sono “realtà” provvisorie e convenzionali, immerse in un empireo trasognato, la cui necessità artistica attinge alla meccanica stereotipa, più e prima ancora che alla facilità esecutiva. Tanto che viene da pensare che autore del film non sia l’adulto-bambino ma il bambino stesso, il quale, per la “logica” conseguenza di un dinamismo interno all’evoluzione dei linguaggi, abbia preso – per così dire – coscienza di sé e abbia ormai prescritto a noi tutti l’inutilità della maturazione, ritenendosi autosufficiente e vincente rispetto a sorpassate articolazioni del pensiero. Gerard Butler, con la faccia ancora un po’ muccinesca (Quello che so sull’amore, regia di Gabriele Muccino, 2011), dovuta all’ansia del personaggio di conquistare la maturità necessaria per trovare un posto nella vita, qui non si pone problemi di realismo. Ma come – si dirà – proprio mentre egli, protagonista nei panni dell’ex dei Servizi Segreti Mike Banning, rappresenta l’unico baluardo contro l’aggressività non certo fantasiosa (se ne parla, guarda caso, nei Tg) dei comunisti di Pyongyang, parliamo di scarsa adesione alla realtà? Le fasi dell’attacco alla sede del potere Usa e dell’aggressione al Presidente (Aaron Eckart) hanno, è vero, una loro coerenza e rassomiglianza con il relativo armamentario masmediatico e cinematografico, ma è il tono della finzione a dare al tutto quella veste di realtà infantile, fatta dell’uso “spudorato” di frasi usurate e della circostanziale reattività agli esiti delle sequenze, l’uno e l’altra più adatti al soddisfacimento per la riuscita del “gioco” che non a una qualche estetica narrativa. Corrispondenze che al bambino non interessano, né quando gioca a nascondino, né se Babbo Natale gli porta in dono una bella cinepresa. E non sarà certo il suo papà, quello vero, a chiedergli conto delle normali discrepanze tra cose e parole del “vero” e loro uso fittizio. Infatti, il Portavoce Allan Trumbull (Morgan Freeman), vestiti i panni del Presidente mentre questi è legato e preda dei terroristi, si limita a lasciar funzionare il giocattolo. La ragione (almeno a dirsi) è semplice: i bambini giocano. Il cinema sembra diventato loro. Niente di male. Il punto è tracciare i confini del gioco e non sarebbe compito dei bambini.
Franco Pecori
18 Aprile 2013