Blackbird – L’ultimo abbraccio
Blackbird
Regia Roger Michell, 2019
Sceneggiatura Christian Torpe
Fotografia Mike Eley
Attori Susan Sarandon, Kate Winslet, Mia Wasikowska, Sam Neill, Bex Taylor-Klaus, Rainn Wilson, Lindsay Duncan, Anson Boon.
Consapevolezza del codice. “Dove sto andando?” – “Dimmelo tu, ragazza”. La ragazza è Lily (Susan Sarandon), una donna sulla sessantina, malata di Sclerosi Laterale Amiotrofica. La domanda è rivolta a Paul, suo marito (Sam Neill), e alle due figlie, Jennifer (Kate Winslet) e Anna (Mia Wasikowska), distese accanto a lei nel momento dell’ultimo abbraccio. Bevuto il bicchiere, Lily se ne va per sempre, come stabilito da lei stessa e Paul, il quale da medico è d’accordo nel tagliare una prospettiva di vita infelice. Un uccello nero attraversa il cielo. Remake del film di Bille August, Stille hjerte (2014), il dramma di Roger Michell conferma la tendenza del regista sudafricano (Notting Hill 1999, The Mother 2003, Le Week End 2013) a sostenere con una giusta dose di amara ironia temi estremi, della società e della vita singola, prospettive che l’amore attraversa nutrendosi di soluzioni “impossibili”. Lily, insieme a Paul, organizza un ultimo weekend, invitando Jennifer con il marito Michael (Rainn Wilson) e il figlio adolescente Jonathan (Anson Boon), Anna, la quale si presenta accompagnata da Chris (Bex Taylor-Klaus), suo recente amore lesbico, e Elisabeth (Lindsay Duncan), amica dal tempo del college. Tutti sanno, tutti recitano la “commedia”, nel rispetto dei ruoli. Ma i personaggi hanno la loro vita e i ruoli mostrano trasparenze in diverso modo risolutive. Un filo di suspence intesse lo sviluppo dell’incontro “convenzionale”, i caratteri dei singoli provocano e subiscono l’esame trasparenza, fino a mettere in dubbio la giustezza della decisione di dare a quel weekend il senso risolutivo delle singole vite, in nome di una celebrazione terribilmente “dolce”. Notevole l’interpretazione di Sarandon, nel difficile compito di tenere insieme leggerezza e dolore, in una specie di rito della consapevolezza. I personaggi si aprono progressivamente alla rivelazione delle proprie incompiute autenticità, finché il dramma – pur concluso – resta sospeso nella “normale” celebrazione del rito. La dimensione teatrale è risolta nella sapiente scansione delle scene, viste con occhio consapevole del necessario montaggio cinematografico. Il che salva dal pericolo di santificazione del tema.
Franco Pecori
26 Luglio 2021