Adieu au langage – Addio al linguaggio
Adieu au langage
Regia Jean-Luc Godard, 2014
Sceneggiatura Jean-Luc Godard
Fotografia Fabrice Aragno
Attori Héloïse Godet, Zoé Bruneau, Kamel Abdelli, Richard Chevalier, Jessica Erickson, Christian Gregori
Premi Cannes 2014, concorso: Prix du Jury (ex-aequo con Mommy, di Xavier Dolan)
Abbiamo ancora presente l’immagine di Jean-Luc Godard, il quale, commentando a caldo la vittoria del Leone d’Oro per Prénom Carmen (Venezia 1983), si dilunga a elogiare il contributo della squadra “tecnica” che lo ha aiutato nella realizzazione del film, specialmente nel montaggio. Montaggio, sintassi, linguaggio. Le immagini/figure delle espressioni acquistano senso nella strutturazione sintattica. Nella sintassi la forma degli elementi compositivi ha la sua importanza, condiziona la funzione costruttiva e dunque il senso. A distanza di tre decenni da quel Leone, l’ultraottantenne regista di Fino all’ultimo respiro (1960), Questa è la mia vita (1962), Alphaville (1965), Due o tre cose che so di lei (1967) coglie ora il momento del dileguarsi del linguaggio attraverso cui abbiamo potuto vivere/fare/parlare la Storia. L’immagine che Godard usa è intellettuale, è la frantumazione del “finito”, la visione a-prospettica, nell’impossibilità di un montaggio che utilizzi la vecchia Storia/sintassi, quella che ha visto Hitler salire al potere e poi il paradosso dei “perdenti” che divengono “vincitori” (la “democrazia” e la televisione). Leggere tentativi di sinossi come questo: «Una donna sposata e un uomo single si incontrano. Si amano e litigano altrettanto appassionatamente. Nel frattempo, un cane randagio vaga per la città; le stagioni passano e un altro film ha inizio…» è francamente penoso. Il film è privo di “trama”, non è necessario fornirgliene una. Certo non è nuovo il tema della condizione storica della forma nelle espressioni umane, non solo artistiche. Nessuno saluta più col tono di un maggiordomo dell’Ottocento l’invitato che arriva a cena. Ma già vedere Paisà con l’idea di trovarvi Ombre rosse non avrebbe giovato alla comprensione dell’opera. E ormai da un pezzo tutti sanno che non si può leggere Ulisse di James Joyce come fosse I promessi sposi di Alessandro Manzoni, né conviene ascoltare Anton Webern con l’orecchio a Felix Mendelssohn. Eppure, non sarebbe poco interessante perfino esercitarsi a trovare qualcosa in comune tra una pala di Piero Della Francesca e un quadro informale di Jackson Pollock. Tanto che nell’idea geniale di affidare il compito di filo conduttore di Adieu au langage alla presenza “astratta” di un cane che si aggira per il film come un visitatore straniero possiamo trovare l’appassionato e commovente intento romantico, da parte del “sopravvissuto” autore, di conservare – mentre si denuncia la drammatica attualità del problema – una qualche disperata necessità di relazione tra Natura e Storia. Non v’è traccia di The Tree of Life, né filosofica né figurale/immaginativa. Forse, invece, non è estraneo l’antonioniano “livellamento ontologico della reatà”: entrano nell’inquadratura esplosioni improvvise di suoni/rumori usuali che spezzano e/o integrano il decadimento della continuità narrativa in un quasi-produttivo riacquisto dell’oggettività perduta. C’è una coppia, è vero, una Lei e un Lui immersi nel quotidiano, a spogliarsi e rivestirsi, a docciarsi e defecare con la “disinvoltura” voluta dall’estinzione motivazionale in cui sono immersi. E’ un dato di fatto che, davanti a Metropolis di Fritz Land visto sul televisore durante il rivestirsi, la necessità di essere personaggio può venir meno, specie se si è, come Héloïse Godet, “protagoniste” di un film di Godard. In questo Addio godardiano c’è anche della filosofia esplicita, si cita Friedrich Nietzsche e si rafforza nello spettatore l’idea che, mentre si attenua in modo quasi-radicale la sicurezza nel progresso tecnologico – il 3D è qui usato in un modo molto speciale, che lo rende incerto e a tratti “incomprensibile” -, tanto più la Storia si va vendicando del pensiero non teoretico e dei relativi disegni idealisti. Sicché l’addio può trasformarsi in una nuova, possibile, consapevolezza. Alla fine, un neonato fa il suo verso. Ma non è figlio di Malick: dovrà misurare il proprio futuro con l’ansia di quel cane che continua a girovagare per il mondo. [Designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI]
Franco Pecori
20 Novembre 2014