La stanza
La stanza
Regia Stefano Lodovichi, 2020
Sceneggiatura Stefano Lodovichi
Fotografia Timoty Aliprandi
Attori Guido Caprino, Camilla Filippi, Edoardo Pesce.
I figli crescono, le mamme imbiancano? No si suicidano. Ma cogli l’attimo, proprio nel momento in cui mamma Stella (Camilla Filippi) sta per lanciarsi dalla finestra, sarà perché fuori c’è tempesta e sarà perché il campanello di casa s’è incantato, l’intenzione della donna s’interrompe. E viene un uomo, così pare. Stella resiste ma non gliela fa a trattenere il “visitatore” alla porta. E lo ospita, con grande imbarazzo dello spettatore, il quale deve rassegnarsi a credere che l’assenso di Stella sia dovuto a un qualcosa di segreto che abita nel suo destino, o addirittura nel corpo dello sconosciuto, di nome Giulio (Guido Caprino) e d’aspetto sgradevole, improbabile, anche un po’ osceno – e infatti è fuori dalla scena la sua consistenza, che però dà senso al film, ecco il problema. Stella mamma avrebbe forse preferito piombare di sotto, vestita com’era con l’abito da sposa. E invece ora le tocca recuperare il proprio dolore, coltivato troppo a lungo per l’abbandono subìto del marito Sandro (Edoardo Pesce), padre di un figlio di cui ha preferito lasciar cadere la memoria. Tutto sembra falso e forse lo è. Qui è il punto. Al cinema – vecchia storia estetica e teoretica – l’interno non può disfarsi del corpo e perciò il rappresentato è incancellabile, per coglierne il senso lo si deve tra-scrivere. La distanza dei due testi, a volte, risulta incolmabile. Nel mezzo del film, ci lasciamo convincere che Giulio l’abbia vinta su Stella e marito (Sandro ricomparso) e stia riuscendo nell’allestimento (teatrale) di una “terapia” di coppia, forzosa e anzi violenta. Si apre così la fase fantasmatica del narrare e perdiamo di vista la concretezza dell’immagine. Noi dobbiamo smettere di raccontare il filo. La suspence va rispettata anche se tracotante (trans+cogitans) verso l’obbligata arrendevolezza dello spettatore. Lo stile si arrende altresì alle risonanze di genere. Perfino la sola parola, psicologico, ci sembra fuori luogo e rischia di essere soltanto una copertura tematica in lotta con la sceneggiatura. Ma c’è un figlio di mezzo, un bambino chiuso in una stanza. Il rispetto per la nuova generazione, in tempi non promettenti come questo, pandemico, che stiamo vivendo è d’obbligo. Pesce è l’interprete più credibile. Attacchi, stacchi, legature, dettagli, tempi dell’inquadratura ecc. Tutto regolare. Neanche male la musica di Giorgio Giampà.
Franco Pecori
4 Gennaio 2021