I viceré
I viceré
Roberto Faenza, 2007
Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Lucia Bosè, Franco Branciaroli, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco, Gioselda Volodi, Paolo Calabresi, Biagio Pelligra, Giovanna Bozzolo, Pep Cruz, Vito, Jorge Calvo.
Sicilia, metà del Secolo XIX. I discendenti dei Viceré spagnoli si trasformano in deputati italiani. Fine dei Borboni, arrivano i garibaldini. Si apre il Parlamento dell’Italia unita. Fra i nuovi eletti c’è Consalvo (Preziosi) Uzeda di Francalanza. Fin da bambino maltrattato dal padre, Principe Giacomo (Buzzanca), per il suo carattere “ribelle”, Consalvo non ha mai voluto piegarsi alle leggi della famiglia, cioè di Giacomo: qualunque intrigo, sopruso, superstizione pur di conservare il comando e l’eredità. Poi, quando tutto finisce e si apre la nuova era, ecco il saluto di Consalvo ai cittadini schiamazzanti che lo hanno eletto: «Viva il Re, viva il Papa, viva la Rivoluzione». Il neodeputato verifica quanto fossero “giuste” le parole dello zio Duca (Lo Monaco): Destra? Sinistra? «Tutto cambia talmente velocemente…». Trasformismo, corruzione, cattolicesimo fasullo – esempio, l’opportunismo “spirituale” di Teresa/Capotondi, la giovane sorella di Consalvo, che per “rispetto” del padre rinuncia all’amore e si dà alla “devozione” verso la Beata Ximena -. l’Italia di sempre? I Viceré, il romanzo del naturalista “scapigliato” Federico De Roberto, stampato nel 1894 e bocciato da Benedetto Croce come «opera pesante, che non illumina l’intelletto e non fa mai battere il cuore», ha ispirato ora Roberto Faenza, il regista che nel 2003 (Prendimi l’anima) ci rammentò della scabrosa vicenda di Sabina Spielrein, l’ebrea russa ricoverata per isteria dopo il rapporto con Jung, allievo di Freud. Per quest’altro disvelamento, Faenza insiste sulla “modernità” di De Roberto. Nella presentazione del film, il regista cita subito la battuta del «talmente velocemente» sottolineandone l’autenticità (è nella sceneggiatura ma è presa alla lettera dal libro), «a riprova della modernità di quel racconto»; e usa il presente per definire il romanzo: «Un quadro feroce di quello che siamo noi italiani». Considerando la già estesa divulgazione delle colpe dei politici d’oggi (La casta ecc.), la riproposta de I Viceré a livello di comunicazione di massa (in Tv ne vedremo una versione allungata, in due puntate) sembrerebbe intanto rafforzare un carattere di attualità. Il problema, come in ogni paragone, sarebbe di giustificare un’idea universale di trasformismo. A qualcuno, Faenza compreso, il Consalvo ribelle in casa e deputato per tutte le bandiere in Parlamento potrebbe far venire in mente il destino di certi ex giovani sessantottini. Tuttavia le scorciatoie, nella lettura della storia, portano troppo spesso a scivoloni lungo i dirupi della semplificazione. Quanto alla modernità, di un film tratto da un romanzo e comunque di un film, non potremmo fermarci al contenuto, dovremmo passare all’espressione, forma e sostanza, stile non escluso. E qui il discorso si farebbe ancor meno semplificabile. Al di là di un riscatto del De Roberto dal non resuscitabile naturalismo verghiano, stando a quel che di espressivo nel film si vede e si sente, basterà essere impietosi (medico pietoso…) e, a fronte di un Buzzanca ex comico merlo-maschio e prete-sposato traslato in Principe Giacomo drammatico/grottesco, non scacciare dalla memoria il viscontiano e gattopardesco Lancaster/Don Fabrizio. Già qui, rientrando il contenuto dalla finestra, il trasformismo degli Uzeda e il gattopardismo dei Salina parrebbero non restringibili in un unico concetto. Sarà forse anche colpa della televisione.
David Donatello 2008: sgr (Francesco Frigeri), cost (Milena Canonero), trucco (Gino Tamagnini).
Franco Pecori
9 Novembre 2007