Frozen River – Fiume di ghiaccio
Frozen River
Courtney Hunt, 2008
Melissa Leo, Misty Upham, Michael O’Keefe, Mark Boone Junior, Charlie McDermott, James Reilly, Dylan Carusona, Jay Klaitz, Michael Sky, John Canoe, Nancy Wu, Adam Lukens, Betty Ouyang, Craig Shilowich.
Sundance 2008, Gran Prix.
Land of Mohawk non è Lampedusa, non arrivano barconi di disperati. Il paesaggio è freddo, lontano. Tra Canada, Quebec e stato di New York, il fiume ghiacciato St. Lawrence è una via clandestina per gli Usa. È anche il modo di sopravvivere per Ray, rimasta sola con due figli a carico, uno piccolino, l’altro adolescente spinoso. Pakistani e cinesi pagano per un passaggio nel bagagliaio dell’auto e Ray non ha più soldi nemmeno per vivere nella sua baracca di legno. Gira con la pistola. Vita precaria, vita difficile. Un’altra donna, Lila, giovane mohawk a cui è stato sottratto il figlio, prima nemica, sarà poi sua alleata nel segreto progetto di sopravvivenza. Lila e Ray fanno il loro “lavoro” in silenzio, soffrendo e gestendo il dolore che si portano dentro. Due donne in primo piano, spesso in dettaglio, e campi lunghi che mostrano un paesaggio “senza cuore” si alternano e si coniugano nello sguardo pietoso di Courtney Hunt, sceneggiatrice alla sua prima regia. L’America che Hunt ci mostra è insieme passata e futura, sembra a tratti di tornare indietro di almeno tre decenni e, a tratti, si è immersi in angosciose instabilità, premonizioni di rivolgimenti imminenti e forse necessari. Ma senza sociologismi. Hunt è anzi molto attenta ai sentimenti, nascosti e non per questo meno intensi, delle due donne. La loro vita resta la loro vita anche nella suspence del fiume di ghiaccio. Anche, e soprattutto, quando il film volge a thriller. Ma non è per genere, né per esercizio, è attraverso la vita delle persone. Il genere è contraddetto e decostruito proprio nella sequenza dell'”imprevisto” con la polizia durante uno dei carichi clandestini. Un tono di vicenda “familiare” invade l’azione e prevale sulla legge deterministica che di norma regola scene di “irregolarità” e contrasto. Il senso di umanità non è “predicato” bensì risolve il vissuto con dolcezza e quasi impercettibilmente. È un primo film, certo, ma è una buona promessa. Ottimo il contributo di Melissa Leo (già apprezzata in 21 grammi), ad un soffio dall’Oscar.
Franco Pecori
13 Marzo 2009