Noi credevamo
Noi credevamo
Mario Martone, 2009
Fotografia Renato Berta
Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Andrea Renzi, Rebato Carpentieri, Guido Caprino, Ivan Franek, Stefano Cassetti, Franco Ravera, Michele Riondino, Roberto De Francesco, Toni Servillo, LucaBarbareschi, Fiona Shaw, Luca Zingaretti, Alfonso Santagata, Peppino Mazzotta, Anna Bonaiuto, Giovanni Calcagno, Vincenzo Pirrotta.
Venezia 2010, concorso. David 2011, film
Contro il “romanzo” del Risorgimento, Martone (Morte di un matematico napoletano, 1992, L’amore molesto, 1995, L’odore del sangue, 2003) ritaglia un trentennio della storia italiana (1828-1862) e lega il sogno d’indipendenza dell’élite ottocentesca all’istanza democratica che, sia pure a livello semicosciente, proveniva dal basso, dai contadini meridionali. Due facce della medaglia che non arrivarono a comporsi in un disegno omogeneo, tanto che ancora oggi l’Italia repubblicana soffre di quelle origini confuse. Nel film, ispirato al romanzo di Anna Banti, ci sono Mazzini (Servillo) e Crispi (Zingaretti), ma le loro figure sono tenute in sottordine rispetto ai tre protagonisti, Domenico (Lo Cascio), Salvatore (Pisani) e Angelo (Binasco), espressione del paese “reale”, dove idealità e bisogni si fondono al di qua della mitizzazione storiografica. Si va dalle adesioni alla Giovane Italia e dalla clandestinità delle sette carbonare, le cui prime attività vengono brutalmente represse dai Borboni, alla serie di fallimenti cui vanno incontro i tentativi insurrezionali, compresa la delusione per l’incompiutezza dell’azione garibaldina. Supportato dall’intelligentissima interpretazione fotografica di Renato Berta, mai indulgente in sottolineature stilistiche e sempre attento a un rapporto discrezionale e antiretorico con gli “oggetti” in gioco, il regista procede per tutta la prima metà del lungo film (170 minuti) alla costruzione di quadri non-progressivi, la cui interdipendenza ha valore conoscitivo e insieme discorsivo. Insurrezione e democrazia sono i due parametri secondo i quali si sviluppa una dialettica che brucia, per così dire, al proprio interno la concretizzazione del discorso, lasciando in sospeso la soluzione dei problemi, sia visti dalle posizioni intellettuali e/o fideistiche, sia subiti nella forzata inconcludenza dell’operatività popolare. Poi, la seconda parte lascia spazio alla fiction e Martone cede al richiamo televisivo. Le scene si fanno più “facili” da seguire e, paradossalmente, la “ferocia” di alcune sequenze aiuta a trasferire sul piano emotivo la forma del contenuto. Ciò nonostante, il film conserva una forte carica riflessiva e in buona misura provocatoria (non è una contraddizione), specialmente nel contocinquantenario dell’Unità d’Italia.
Franco Pecori
12 Novembre 2010