Vi presento Toni Erdmann
Toni Erdmann
Regia Maren Ade, 2016
Sceneggiatura Maren Ade
Fotografia Patrick Orth
Attori Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn, Thomas Loibl, Trystan Pütter, Hadewych Minis, Lucy Russell, Ingrid Bisu, Vlad Ivanov, Victoria Cocias, John Keogh, Ingo Wimmer, Anna Maria Bergold, Radu Banzaru, Alexandru Papadopol, Sava Lolov, Jürg Löw, Miriam Rizea, Klara Höfels, Ruth Reinecke, Hans Löw, Manuela Ciucur, Ingrid Burkhard, Luana Stoica, Nicolas Wackerbarth, Victoria Malektorovych, Julischka Eichel, Tadeusz Januszewski.
Premi Cannes 2016: Fipresci (Fédération Internationale de la Presse Cinématographique).
Dalla Germania, alla ricerca del senso perduto. Vivere come in teatro, teatro privato, di famiglia. In un apparente fuori-scena, alienarsi in ambienti lontani, in una società cancellata e poi pervenuta, avida di prospettive avide, volgare (sempliciotta nelle soluzioni volgari), truffaldina e affannosamente arrivista – facciamo Romania, Bucarest. Il centro commerciale più grande d’Europa, dove nessuno ha i soldi per comprare. Vivere di finzione, mirandosi in falsi specchi benaltristi e schivando ostacoli di una morale muta, acida e infarinata di esistenzialismo gelido e disgustoso. Sembra un falso destino, sembra una verità circolare. Questa è una faccia di una vita di donna senza felicità. Mettiamo Ines (Sandra Hüller), consulente d’azienda, aspirante alla nudità. L’altra faccia è del teatro vero che scenicamente definisce in modo autentico le falsità di un’invenzione di comodo e giustifica l’ipotesi orizzontale di una dialettica padre-figlia basata sull’istinto di sopravvivenza. E’ la scena della figlia alienata e del padre «pagliaccio», la scena che si consuma nel paradosso delle trattative commerciali, nel mondo grigio dei nuovi arrivi; è il teatro che attinge a trovate circensi per illudersi di rintracciare il senso sorpassato dei veri sentimenti semplici. Mettiamo Winfried (Peter Simonischek), padre che viene dal ’68, impregnato di un vissuto invivibile, mascherato sotto falso nome (Toni Erdmann), truccato con una dentiera da circo. Sarà lieto fine ma sarà d’obbligo aggiungere le virgolette: fine «lieto» che risolve per il cinema dilemmi impossibili nella scena attuale, esibendo l’intimità universale di motivazioni insondabili e – al dunque – irrilevanti. Il padre che stride, ridicolo profumo di un passato da risolvere, nel contesto nuovo e stravecchio dell’approfittamento sfrenato, svergognabile solo inutilmente se non ritraendosi nella sconfitta epocale. Il film di Maren Ade, regista simbolo di una nuova venerazione estetica, fatta di compromissioni esibite come necessarie, chiama alla risata ironica, chiama e richiama più volte fino a divenire lungo e ultrachiaro. Feroce feroce e divertente divertente.
Franco Pecori
2 Marzo 2017