Una festa esagerata
Una festa esagerata
Regia Vincenzo Salemme, 2017
Sceneggiatura Vincenzo Salemme, Enrico Vanzina, Antonio Guerriero
Fotografia Stefano Salemme
Attori Vincenzo Salemme, Massimiliano Gallo, Tosca D’Aquino, Iaia Forte, Namdo Paone, Francesco Paolantoni, Giovanni Cacioppo, Andrea Di Maria, James Senese, Vincenzo Borrino, Antonella Morea, Mirea Flavia Stellato, Teresa Del Vecchio.
Commedia godibile anche al cinema. Certo, l’evidente trascrizione da teatro toglie qualcosa al valore dei dialoghi, alla loro intonazione, ai loro “tempi”, la cui specificità soffre inevitabilmente per il trasferimento di linguaggio. Il teatro merita di essere frequentato anche se si va a vedere un film. Possiamo capire che Vincenzo Salemme, bravo e degnissimo autore e attore in entrambe le situazioni, palcoscenico e set cinematografico, coltivi l’ambizione (c’è la mano di Enrico Vanzina nella sceneggiatura) di far arrivare a un pubblico più vasto la sua moralità scenica, tuttavia va detto che l’impatto schermico non rende piena giustizia al respiro di una scrittura che conserva, in maniera diremmo palpabile, la sostanza comunicativa dell’altro mezzo ed è per merito di quella se comunque si trasmette in parte alla cineplatea. In tal senso, prende maggior forza la battuta finale dello stesso Salemme, il quale, nei panni del geometra e piccolo imprenditore edile (tutti lo chiamano architetto, ma egli ci tiene a ridimensionare il titolo) Gennaro Parascandalo, cita il De Sica di Miracolo a Milano (Palma d’Oro a Cannes nel 1951) e sogna un mondo dove “Buongiorno vuol dire veramente buongiorno”. Ovvio che non si tratta di una pignoleria, bensì della sottolineatura dell’importanza del linguaggio e del contesto entro cui le parole e i comportamenti hanno vita. Un mondo: le persone, la società, i rapporti, il modo di fare, le soluzioni da trovare, la “festa” da immaginare, da organizzare, da realizzare; e anche lo spettacolo da fare, il film oltre che la pièce. Implicita autocritica, perché no? La festa per il diciottesimo compleanno della figlia prediletta – sia pure già vistosamente guastata dalla qualunquistica e opportunistica, invasiva corruzione dei modi – può diventare sguardo riflessivo sulle “esagerazioni” incontrollate del costume, sulle derivazioni paradossali prodotte da una sfacciata “piccola alienazione”, i cui esiti sono forse da considerare ormai incontrollabili. L’unica soluzione, per una festa che doveva farsi e che non sarà possibile fare – un morto al piano di sotto, ma sarà vero? – sembra essere la piega farsesca da imprimere allo stato delle cose. Una soluzione si trova sempre, i diversi livelli di volgarità e di stupidità troveranno il ghigno adeguato per esprimere il loro sofferto disagio. Ma non è tanto questo il valore. Il lavoro di Salemme si svolge nel continuo, incessante controllo esplicito delle parole, delle battute, delle incongruenze “normali” che regolano la vita “minima” di ciascuno dei personaggi: una “prigionia” dalla quale il protagonista, pur vittima egli stesso, invita tutti – sul set, sullo schermo, in platea – a liberarsi, per una vita più consapevole, non più “esagerata”. Ben diretto e di qualità adeguata il cast del film, con una Tosca D’Aquino su di giri.
Franco Pecori
22 Marzo 2018