Una separazione
Jodaeiye Nader az Simin
Asghar Farhadi, 2011
Fotografia Mahmoud Kalari
Leila Hatami, Peyman Moaadi, Shahab Hosseini, Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Babak Karimi, Ali-Asghar Shahbazi, Shirin Yazdanbakhsh, Kimia Hosseini, Merila Zarei.
Berlino 2011, Orso d’Oro film, Orso d’Argento cast, Premio Giuria Ecumenica. Oscar 2012, film str.
Dopo l’Orso d’Argento ottenuto a Berlino nel 2009 con About Elly, il trentanovenne regista iraniano Asghar Farhadi ha avuto confermata la stima del festival tedesco con l’Orso d’Oro, assegnato dalla Giuria al suo Una separazione. Per le interpretazioni degli attori, premiato anche l’intero cast con l’Orso d’Argento. Uscito con notevole successo in Francia nel giugno scorso, il film arriva al pubblico italiano con rafforzate possibilità di buona accoglienza, data la tradizione neorealistica del nostro cinema. Non stiamo certo parlando di stile, ma piuttosto della capacità che ha Farhadi di far vivere allo spettatore la vicenda raccontata, mantenendolo all’interno – per così dire – della vita quotidiana dei personaggi, nei loro spazi e nei loro tempi, quasi in un costante “pedinamento” disvelatore, insieme, dei sentimenti dei protagonisti e dell’ambiente in cui si sviluppano. Senza mai darsi al “documentario”, il regista, soltanto seguendo il filo della storia, ne documenta i fattori ambientali, sociali, culturali, dando ai personaggi la consistenza di una verosimiglianza referenziale oltre che interna al film. Si parte con un racconto di situazione che focalizza la crisi in una famiglia iraniana di livello medio. Nader (Moaadi) e Simin (Hatami) hanno chiesto e ottenuto da mesi il visto per lasciare il Paese, soprattutto la moglie Simin vorrebbe per la figlia adolescente Termeh (Sarina Farhadi) una formazione fuori dall’Iran. Ma Nader esita e al dunque si rifiuta di partire, legato com’è a suo padre (Shahbazi), malato di Alzheimer e bisognoso di assistenza. Simin si trasferisce momentaneamente dalla madre e Nader deve affidare la cura del padre a Razieh (Bayat), una giovane di condizioni umili, inesperta e di cui ignora lo stato di gravidanza. Molto rispettosa dei dettami religiosi, Razieh accetta il lavoro per necessità ma non dice niente al marito Hodjat (Hosseini), disoccupato e pressato dai creditori. Termeth, ragazza sensibile e intelligente, appare scossa dalle difficoltà che turbano il normale andamento della casa. Partecipiamo da vicino, il regista sembra non volerci nascondere alcun particolare mentre con tocco discreto va ancora definendo i contorni della vicenda. Abbiamo l’impressione di essere lì anche noi. Poi, però, accade un incidente che mette in pericolo la vita dell’anziano malato. Esasperato dalla situazione, Nader caccia di casa Razieh, accusandola di aver rubato dei soldi e spingendola fuori dalla porta. Il film cambia registro. La macchina da presa seleziona lo sguardo in maniera sempre più rigida, in funzione dell’intreccio. Cresce una tensione da thriller, ciascuno dei personaggi ha le proprie ragioni e chiama lo spettatore a prendere parte. Si finisce davanti al giudice. I temi sottesi alla trama, importanti per la composizione complessiva del racconto, cedono via via il campo a una cura del genere che finisce per occupare tutta la nostra attenzione. Sempre bravo Farhadi nella costruzione delle sequenze, ma più interessato ad accentuarne la suspence. Solo il finale ci riporta, in extremis, alla ragione primaria da cui si era partiti: Nader e Simin divorziano e Termeh dovrà scegliere con quale dei genitori restare. L’ultima inquadratura blocca i due fuori dalla stanza dove la ragazza sta esprimendo la sua preferenza. Il thriller non vira in giallo e il contesto riemerge, disponibile per l’eventuale dibattito.
Franco Pecori
21 Ottobre 2011