The Tree of Life
The Tree of Life
Terrence Malick, 2010
Fotografia Emmanuel Lubezki
Brad Pitt, Jessica Chastain, Hunter McCracken, Sean Penn, Fiona Shaw, Joanna Going, Laramie Eppler, Tye Sheridan, Jesssica Fuselier, Irene Bedard, Kari Matchett, Crystal Mantecon, Kimberly Whalen, Will Wallace, Zach Irsik, Jackson Hurst, Michael Showers, Anne Nabors, Robin Read, Margaret Hoard, Chris Orf, Brayden Whisenhunt, Cole Cockburn, Jodie Moore, Tom Townsend, Tamara Jolaine, Erinn Allison.
Cannes 2011, concorso: Palma d’oro.
La vita è un albero che possiamo veder crescere, dare i suoi frutti e morire. È così nella simbologia di diverse religioni e culture, una per tutte l’Ebraismo. A livello di espressione, un’ovvietà consolidata. Il film di Malick (I giorni del cielo, 1978, The New World, 2005) pianta il simbolo nel Texas e focalizza il racconto simbolico nei passaggi generazionali di una famiglia degli anni ’50, dando a pensare che in America quel periodo costituisca ancora un problema da sistemare. Ma non è sociologia. Il film ha una “voce interiore”, narrante, introspettiva, che subito all’inizio si sbilancia pesantemente ponendo una dialettica vitale tra Natura e Grazia. Entro questi due paramatri si svolge ed è considerabile la Vita. Mentre la Natura fa – diciamo così – i propri comodi («Sparge sale sulle ferite che dovrebbe curare»), la Grazia asseconda le inclinazioni umane, aggiustando e riformulando le evenienze della storia («Il mondo è andato a rotoli, la gente è avida») e traducendole (si spera) in risultati armoniosi. Qualcuno può pensare alla Grazia divina o alle doti dello Spirito, all’Anima, qualcun altro alla concezione estetica del mondo. Fate voi, ma – dice Malick – dovete scegliere tra la vita della Natura e la vita della Grazia. La partita è questa e vedrete che la vince la Grazia. Il marine O’Brien (Pitt) ha le idee chiare: nella vita i buoni non combinano nulla; e si dispiace molto quando vede che Jack (McCracken), il più grande dei suoi tre figlioli, non solo tende a ribellarsi a lui ma non sarà mai l’uomo volitivo e virile che suo padre vorrebbe formare. Infatti il risultato – lo vedremo – è un Jack adulto (Penn) indeciso e quasi stordito fra i grattacieli metropolitani. A livello dell’espressione particolare, tutto è reso con uno stile tranquillo, perfino ossequioso di certi stereotipi sulla vita in famiglia, con il padre esageratamente rigido e autoritario, i figli stressati dalle assurde imposizioni, la madre (Chastain) sensibile, amorosa ed eroica nella sopportazione e nella gestione degli equilibri. La Vita comunque continua. Anzi continuava, giacché il quadro che vede in primo piano Pitt non è che il largo flash suscitato dall’ultimo avvenimento, quello con cui comincia il film e che qui non riveliamo. Diciamo che si tratta dello spunto drammatico da cui si determina la “riconsiderazione” interiore di tutta una generazione. La vita si dibatte tra Natura e Grazia. E allora? La novità è lo stile complessivo del film, quando dal racconto particolare si passa al montaggio del “reale” con l’immaginario e si viene catapultati in una riformulazione universaleggiante, nella visione cosmica che unisce i grandi fenomeni naturali terresti alle immagini “fotografiche” dell’Universo e va indietro fino al Giurassico per dire che, insomma, viviamo in una medesima vita complessiva, soggetta alla medesima legge (Natura-Grazia, non la ripetiamo). Qui Malick si produce in una traduzione vertiginosa che, tolta la dignità formale delle immagini singole, si risolve in una rappresentazione sostanzialmente caleidoscopica (nel senso letterale del “bel vedere”), tanto che il coinvolgimento della dimensione “famiglia” ne suona – come dire – inadeguato. Per quanto “belle” e cucite con grande cautela, le sequenze dell’Universale sono riducibili, a livello del senso, all’amorevole indicazione della mamma che indica il cielo al suo bambino e dice: «Lassù è dove vive Dio».
Franco Pecori
18 Maggio 2011