Exodus – Dei e Re
Exodus: Gods and Kings
Regia Ridley Scott, 2014
Sceneggiatura Adam Cooper, Bill, Collage, Jeffrey Caine, Steve Zaillian
Fotografia Dariusz Wolski
Attori Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn, Sigourney Weaver, Ben Kingsley, Maria Valverde, Dar Salim, Golshifteh Farahani, Indira Varma, Emun Elliott, Hiam Abbass, Andrew Tarbet.
«Storia di un uomo audace che sfida con coraggio la potenza di un impero. Avvalendosi di effetti visivi all’avanguardia e dell’esperienza coinvolgente del 3D, Scott dà nuova vita alla storia di Mosè». Il testo di presentazione del film pecca di ottimismo. Il lavoro più recente di Ridley Scott non ravviva la figura di Mosè quale ci è stata tramandata dai testi sacri e dall’arte, cinema compreso. Lasciando stare la Bibbia e non toccando il capolavoro di Michelangelo, non ci sembra nemmeno il caso di fare riferimento al Mosè e Aronne di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (1975, dal Moses und Aron di Arnold Schönberg), film catalogato in qualche repertorio come prodotto di un “cinema di pensiero” (!). Dalla mitologia kolossale de I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille (1956) all’Exodus “moderno” del britannico Penny Woolcock (in concorso a Venezia Orizzonti nel 2007), i problemi di una rivisitazione cinematografica dei contenuti biblici non hanno presentato varianze decisive, restando queste sostanzialmente legate al fascino mitologico. Netta la prevalenza delle attese del pubblico per l’attraversamento “miracoloso” del Mar Rosso da parte del popolo ebraico guidato a Mosè. Quanto al volto dell’eroe, passato da Charlton Heston a Christian Bale, segna una distanza equivalente a quella tra i “faraoni” Yul Brynner e Joel Edgerton. Il Ramses del 1956 confermava al vasto pubblico internazionale lo strapotere iconologico di un volto già di per sé “miracolato” dal fascino dell’assenza (di capigliatura), mentre il faraone più attuale e specialmente il suo padre Seti (John Turturro) sembrano presiedere riunioni di CdA odierni (nella versione doppiata in italiano). Il valore prospettico del racconto resterebbe affidato soprattutto a due elementi figurativi, l’uno più tecnologico e l’altro più fantasioso. Il mitico passaggio del Mar Rosso degli Ebrei in fuga dall’Egitto si traduce però in un bell’inseguimento stile western e in una tempesta marina poco emozionale in quanto non abbastanza “pompata” da un fiacco 3D. L’invenzione della “presenza” divina nella dimensione cosciente del rapporto tra Dio e Mosè, realizzata con l’utilizzo del “messaggero” bambino che manifesta le volontà superiori con apparizioni autorevoli lungo i sentieri del Monte, fa pensare più alla ricerca di una giustificazione plausibile in termini di linguaggio moderno che non alla necessità di mantenere, a livello di verosimiglianza interna, la dovuta coerenza narrativa. Hollywood assente, non è più tanto facile omogeneizzare l’iconologia biblica con la realtà complessa delle persone reali e soprattutto della persona-profeta, sicché la figura di Mosè risulta alquanto deludente. Ormai dimentico del romantico I duellanti (1977) e dei profetici e aggressivi Alien (1979) e Blade Runner (1982), Ridley Scott conferma una sopraggiunta dedizione all’eroismo configurato nella tranquillità della confezione assodata de Il gladiatore (1999), proponendo riletture progressive e tranquillizzanti (American gangster 2007, Robin Hood 2010). Non saremo noi a negare il piacere di un relax, anche se non necessario.
Franco Pecori
15 Gennaio 2015