Benedetta follia
Benedetta follia
Regia Carlo Verdone, 2018
sceneggiatura Menotti , Nicola Guaglianone, Carlo Verdone
Fotografia Arnaldo Catinari
Attori Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere, Maria Pia Calzone, Paola Minaccioni.
Esistere? Vivere, questo è il problema. Questione ardua sempre, ma di più oggi, con le app nei cellulari che ci rendono facile – così sembra – ogni approccio, ogni contatto. Il metro per misurare l’amore sembra ormai aver mutato l’unità di misura e le sfumature fluttuano di momento in momento rendendoci il cammino pieno di sorprese. Veniamo a sapere che sta prendendo piede una certa mania delle donne di attivare il modo “vibrazione” nello smartphone e farne un uso autoerotico. È una delle scene (brava Francesca Manzini) che possono far sbellicare la platea, anche per il contrasto che una simile pratica crea con la subnormale timidezza, rigidità, inadeguatezza, goffaggine straniata, ultracorretta moralità di Verdone – qualità imposte dall’autore al suo personaggio immarcescibile e autoriproducentesi, tramite figurazione, al di là delle progressive scelte tematiche nei 40 anni di carriera comica (La prima regia, Un sacco bello, è del 1979). A distanza di un trentennio da Troppo forte (1986), Carlo Verdone sembra avvertire il bisogno di guardarsi dentro; ed è un altro momento-àncora del film, con il mitico Oscar Pettinari che gli si ripresenta allo specchio, grazie a un input ritual-pasticcoso. Ecstasi ingenua non colpevole, beninteso, ma buona per fare spettacolo. Lo stesso attacco del film – ritmo sparato con batteria rock, corsa spavalda sull’Honda mitica Nighthawk, faccia di allora (una scritta indica l’agosto 1992) come fosse un miracolo del cinema – presenta un Verdone molto New perché molto Old. Così, l’ennesimo tentativo di regalare al pubblico la solita morale sui costumi attuali aggiornata al tempo del cellulare acceso, magicamente si trasforma in rappresentazione semionirica dell’Aggiornamento fatale: Guglielmo, uomo triste, imbolsito nella fedeltà coniugale, devoto dell’affarismo religioso e delle ambizioni modaiole prelatizie, sarto di cardinali narcisi, venditore di oggettistica in gloria divina, cade improvvisamente nel vuoto esistenziale. Siamo all’oggi. Nel giorno del venticinquesimo anniversario di matrimonio, la moglie Lidia (Lucrezia Lante della Rovere) lascia Guglielmo confessandogli una propensione omo ben taciuta finora. Urge il salvataggio. Esistere o finalmente vivere? Ci pensano gli sceneggiatori Nicola Guaglianone e Menotti, reduci dal trionfo fumettistico e pronti anche all’invenzione del “musical”: riusciranno a far ballare (Luca Tommassini coreografo) perfino Verdone tra suorine e preti trasognati, vesti bianche e movenze sexy. Ci pensano, i suddetti, soprattutto quando si tratta di dar voce e corpo a Luna. Di Ilenia Pastorelli dire spontanea saprebbe di scorciatoia per non affrontare il tema critico dell’arte attoriale, specialmente nel cinema. La Pastorelli passa dalla Alessia di Lo chiamavano Jeeg Robot a questa creatura “lunare”, tanto “vera” quanto “verosimile”, con una capacità di lettura situazionale che non dobbiamo attribuire a una magica attitudine se non vogliamo disconoscere la distanza che per forza di cose passa sul set tra la persona, l’attrice e la cinepresa. Una specie di miracolo, cose che accadono se dietro l’obbiettivo c’è un occhio attento al materiale disponibile. La bravura di Verdone è di riuscire a mostrarsi piuttosto egli stesso come inadeguato e accettare la contiguità con la ragazza “mostruosa” e starle accanto. Lei si presenta per essere assunta nel negozio di Guglielmo, in sostituzione della commessa scopertasi amante di Lidia, mostrando con “inconsapevole” sfacciataggine la più completa assurdità dei modi. Al primo impatto, il contrasto va oltre ogni parametro. Faremmo qui un inutile esercizio di retorica se tentassimo di descrivere l’ “ingenua” improntitudine della ragazza verso un mestiere come il vendere articoli religiosi a una clientela di ambiente molto chiuso, selezionatissimo. Ma succede il miracolo. Luna stravolge da un giorno all’altro la vita di Guglielmo, lo iscrive alla “lovit”, app per incontri facili – divertenti le caratterizzazioni di Paola Minaccioni ed Elisa Di Eusanio) e lo chiama Signor Guglielmo fino alla penultima scena, quando scopriremo la composizione di una famiglia che non avremmo immaginato. Certe distanze non ci sembreranno poi tanto grandi come all’inizio. Tutto tornerà a posto, dolcemente, in una Roma protetta dal degrado grazie alla fotografia benedicente del virtuoso Catinari. Dolce sarà stata la flessibilità “borgatara” di Luna in cerca di lavoro nel posto sbagliato, dolce il sorriso di Ornella (Maria Pia Calzone), infermiera ideale per quel “tontolomeo” poco bravo con le donne fuori dal matrimonio. Quel che sembrava paradossale, vedrete, sarà stato soltanto spettacolare. La sostanza è nella ricomposizione armoniosa, tipico destino della filosofia dell’autore.
Franco Pecori
11 Gennaio 2018