Il cuore grande delle ragazze
Il cuore grande delle ragazze
Pupi Avati, 2011
Fotografia Pasquale Rachini
Cesare Cremonini, Micaela Ramazzotti, Gianni Cavina, Andrea Roncato, Erica Blanc, Manuela Morabito, Gisella Sofio, Marcello Caroli, Sara Pastore, Massimo Bonetti, Sydne Rome, Rita Carlini, Stefania Barca, Alessandro Haber (voce narrante).
Roma 2011, concorso.
Firmato da Pupi Avati, un com’eravamo non può che essere speciale. Un altro racconto che fonde la vita intima dell’autore con il quadro trasognato eppure “reale” di un Paese, il nostro, che rivive nella memoria poetica dell’”infanzia” mai del tutto superata. Edo Vigetti, figlio minore di Eugenia (Erica Blanc) e Adolfo (Andrea Roncato), insegna a leggere e scrivere al fratello maggiore, Carlino (Cesare Cremonini, Un amore perfetto 2002). Siamo in un piccolo centro contadino dell’Italia centrale, a metà degli anni ’30. Analfabeta quasi ma ben “evoluto” nei rapporti con le donne, Carlino non ne ha perdonata una. Prima o poi, tutte sono finite con lui fra gli spini della siepe nel terreno di casa sua. La sete di sesso è irrefrenabile. Proprio lui viene scelto come vittima sacrificale per fidanzarsi ufficialmente con una delle due sorelle Osti, Maria (Rita Carlini) e Amabile (Stefania Barca), illibate e non desiderate da alcuno. È un matrimonio necessario al mantenimento della mezzadria in atto di Adolfo verso la proprietà del padre delle ragazze, Sisto Osti (Gianni Cavina). In più, operata la scelta non facile, Carlino avrà in regalo nientemeno che una moto Guzzi. Ma piomba nel mezzo dell’indecisione la terza sorella Osti, Francesca (Micaela Ramazzotti), rientrata da Roma, e scocca la scintilla. A narrare la vicenda fino in fondo ci penserà la voce narrante di Alessandro Haber (il punto di vista di Edo), punteggiando il racconto di spiritose e tenere osservazioni di costume che ci restituiscono il quadro d’insieme di una certa provincia profonda, immagine difficile da recuperare nel contesto del nostro cinema, spalmato e arreso su rappresentazioni stereotipe d’attualità. C’è da pagare forse un prezzo non basso in termini di “letteratura”, ma Pupi Avati non è più, da tempo ormai, autore in via di definizione. Diciamo solamente che, disegnati con cura tutti i caratteri che formano il quadro, il regista riesce, stavolta più di altre volte, a far vivere di vita propria i personaggi, di Carlino e Francesca. In particolare la Ramazzotti, dopo le buone prove di Tutta la vita davanti 2008 e La prima cosa bella 2009, è chiamata a spingersi ben oltre la caratterizzazione – rischio contenuto in parte nella stessa sceneggiatura – per dare luce e profondità non solo a Carlino ma a tutto il contorno tratteggiato dall’autore. Notevole anche l’interpretazione di Roncato, generoso portatore di “umanità” e perfino di referenza drammatica, per esempio nella scena della propria morte, autorganizzata secondo il rituale dei tempi. Come tutte le fiabe (già, di racconto fiabesco si tratta), anche quest’ultima di Avati ha il suo buon finale. Ma come sempre nei lavori dell’autore Bolognese, la fantasia si propone anche fruttuosa per la lettura di una generazione in pericolo di smemoria.
Franco Pecori
11 Novembre 2011