L’amore che resta
Restless
Gus Van Sant, 2011
Fotografia Harris Savides
Henry Hopper, Mia Wasikowska, Ryô Kase, Schuyler Fisk, Jane Adams, Lusia Strus, Chin Han, Kyle Leatherberry, Jesse Henderson, Colton Lasater, Victor Morris.
Cannes 2011, Un certain regard.
L’attenzione di Gus Van Sant, il regista kentuckyano che dei giovani ha colto con sguardo sperimentale frustrazioni, disperazioni, neo-alienazioni – da Elephant (Palma d’oro a Cennes 2003) a Paranoïd Park (Premi speciale a Cennes 2007), sembra volgersi al lato romantico per spingersi ai limiti del tema “amore e morte” in chiave psicologica. L’inquietudine di Enoch (Henry Hopper, figlio di Dennis, al suo primo film) e di Annabel (Mia Wasikowska, Alice in Wonderland, I ragazzi stanno bene, Jane Eyre) ha un quadro referenziale meno complicato di quello che produceva l'”infelicità” nei film precedenti. Enoch ha perduto i genitori in un incidente stradale dal quale è uscito vivo seppure avendo perso conoscenza per un po’. Per i funerali non lo aspettarono ed egli ebbe reazioni violente, tanto da dover lasciare la scuola. Ora frequenta i funerali degli sconosciuti e gioca alla battaglia navale con uno strano “amico”, il fantasma del kamikaze Hiroshi (Ryô Kase, Lettere da Iwo Jima). Riluttante ai contatti umani, Enoch incontra Annabel durante uno dei servizi funebri in cui s’è “imbucato”. Basta un sorriso e qualche insistenza della ragazza e non si lasceranno più. Annabel ha un tumore maligno al cervello e presto saprà di avere tre mesi di vita. Il suo modo di affrontare la situazione è così diverso da come potremmo aspettarcelo che tutto il film si trasferisce in una specie di empireo di tenerezza fiabesca, in un paradosso che il regista concretizza con una decisa preferenza per il versante stilistico. La scelta ha il pregio di evitare al racconto derive stereotipe alla Love Story e insieme di conservare un livello di astrazione che giustifichi la misura delle accentuazioni poetiche. Tra “verità” e invenzione, Annabel e Enoch hanno il potere di farci amare il tempo (la vita) che ci resta. In un certo senso, Gus Van Sant ha l’aria di essersi preso una vacanza, una di quelle vacanze che però possono dare valore all’impegno di tutto l’altro da fare.
Franco Pecori
7 Ottobre 2011