Parole d’amore
Bee season
Scott McGehee e David Siegel, 1964
Richard Gere, Juliette Binoche, Flora Cross, Max Minghella.
Parole e pensiero. Questo film richiede maturità. La piccola Eliza (Cross) ha la fissa delle gare di spelling (dire parole lettera-per-lettera). Negli Usa si usa molto. Saul, suo padre (Gere), la incoraggia: con le parole si può arrivare all’orecchio di Dio. Siamo sul filo del misticismo, come se il pensiero classico – Socrate, Platone, Kant – non potesse aiutare a capire la crisi di una famigliola “per bene” dell’America postmoderna. Saul e la moglie Miriam (Binosce) annaspano nell’alienazione quotidiana, cercano le parole per dirsi la verità, ma non è facile. Miriam sente che Saul non la pensa e, così, coltiva il suo vizio segreto, di rubare la “luce”. Il figlio più grande, Aaron (Minghella), vede arancione, cioè Krishna, facendo arrabiare Saul, che sente sfuggirgli il controllo del ragazzo. Eliza, intanto, vede colombe volare. E sarà proprio uno di tali “voli” a darle la chiave risolutiva, non più soltanto della gara di spelling. Curiosa questa Binoche, uscita dalla Mary di Abel Ferrara e ancora immersa nella “confusione”. E un po’ facile il Saul di Gere, inconsapevole nella ricerca del senso delle parole. Certo, tutto si aggiusterà. Ma attenzione al pensiero, ché rischia di sfuggire.
Franco Pecori
16 Dicembre 2005