L’innocenza del peccato
La fille coupée en deux
Claude Chabrol, 2007
Ludivine Sagnier, Benoît Magimel, François Berléand, Mathilda May, Caroline Silhol, Marie Bunel, Valeria Cavalli, Etienne Chicot, Thomas Chabrol, Jean-Marie Winling, Didier Benureau, Edouard Baer.
Spietato. Uno Chabrol sempre impietoso verso la fascia medioalta della società, in Francia localizzabile specialmente in provincia. Il regista francese, classe 1930 e “carta di credito” Nouvelle Vague, mette in scena ancora una volta un’umanità senza orizzonti, che coltiva con indifferenza irresponsabile la corruzione, quasi recitando una parte imposta nello spettacolo della vita. Il filtro è giallo, ma riguarda più il carattere e le relazioni dei personaggi nelle loro scelte esistenziali di quanto determini lo svolgersi della vicenda. Una suspense morale tiene in bilico lo spettatore nel difficile giudizio verso la protagonista, ragazza divisa in due, come dice il titolo originale molto meglio della traduzione italiana, tra il fascino di un amore perverso e l’aspirazione a un matrimonio ricco e felice. La giovane donna è Gabrielle (Sagnier), i due uomini sono Charles (Berléand) e Paul (Magimel), uno scrittore affermato e dall’aspetto paterno il primo, ricco e capriccioso il secondo, poco più che un ragazzo. Gabrielle si accosta a Charles quando lo vede in libreria firmare autografi. Lui la sa molto lunga in fatto di donne e la “ragazzina” stuzzica la sua vanità. La introduce nel club che frequenta, dove il sesso è pratica magistrale. Chabrol non ci mostra dettagli e anzi per un momento siamo portati a credere che tra la giovane e il maturo stia nascendo l’amore. Sullo scivolo di questa bugia s’innesta l’equivoco dell'”innocenza” di Gabrielle e quando la vediamo rifiutare la corte di Paul, insistente ed esibizionista al limite dell’arroganza, quasi siamo portati a difendere la ragazza da quegli assalti sconsiderati. Ma Chabrol non si distrae, si avvicina ai personaggi con scrupolosa attenzione, li osserva nei minimi comportamenti, rivelatori di ambiguità, riflessi di un ambiente dove la distinzione tra Bene e Male ha poco senso. E se stiamo attenti, veniamo colpiti dai tagli netti del montaggio, che spesso “mutilano” addirittura le inquadrature con esibita antipatia. Mentre cresce il dubbio del giallo sulla sorte di Gabrielle, la vicinanza dell’obbiettivo turba anche la nostra presunzione di innocenza, indica la complessità della soluzione e insieme semplifica le variabili del racconto. Arriviamo alla fine che ci sembra di trovare sollievo proprio dall’atto crudele e freddo, che non riveliamo e che “risolve” il dilemma amoroso della donna divisa in due. Ma Chabrol non ci lascia in pace. Con un giochino da circo, una botta di fantasia, mette in scena la rappresentazione “diretta” della magia, con Gabrielle in ambiente surreale che viene sottoposta al trucco della sega circolare sul suo corpo. Non è “reale”, ovvio. Come non è forse vero fino in fondo che la ragazza fosse al bivio della propria esistenza. Aveva cominciato una carriera di presentatrice televisiva con il servizio Meteo ed era passata subito, per attrazione fatale, a condurre interviste nel falso salotto elettronico. I “ricchi e potenti” che aveva poi conosciuto non erano tanto più veri. Una citazione specifica la merita Edoardo Serra, il direttore della fotografia che Chabrol considera suo “complice” insostituibile.
Franco Pecori
8 Febbraio 2008