Fai bei sogni
Fai bei sogni
Regia Marco Bellocchio, 2016
Sceneggiatura Valia Santella, Edoardo Albinati, Marco Bellocchio
Fotografia Daniele Ciprì
Attori Valerio Mastandrea, Bèrénice Bejo, Guido Caprino, Nicolò Cabras, Dario Dal Pero, Barbara Ronchi, Miriam Leone, Arianna Scommegna, Bruno Torrisi, Manuela Mandracchia, Giulio Brogi, Roberto Di Francesco, Dylan Ferrario, Pier Giorgio Bellocchio, Emmanuelle Devos, Fausto Russo Alesi, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka, Fabrizio Gifuni.
Lettera per la madre. Torino 1969. Massimo bambino (Nicolò Cabras) gode dell’amore della mamma, lei lo invita a ballare nel salotto di casa “Anni Sessanta”, sono una “coppia felice”. Si riparano dall’orrore – e anzi nell’orrore – di Belfagor (la serie televisiva), mentre le famiglie del piccolo mondo sono avvolte nel suono di Gianni Morandi e di Mimmo Modugno. Resta cu me. La domenica felice è garantita da Raffaella Carrà e soprattutto dalla squadra del cuore, il Toro. Ma arriva negli occhioni del piccolo (bravissimo l’attore, perfino un po’ manierato) lo smarrimento improvviso, il vuoto incolmabile. Una sera, la mamma lo lascia dormire, gli sussurra «Fai bei sogni» e va via. Massimo cercherà la verità di quell’addio per tutta l’infanzia e oltre l’adolescenza (Dario Dal Pero), sopportando il disagio profondo con un padre (Guido Caprino) che non vorrà aprirsi a rivelare la triste verità della “malattia” di sua moglie. Il ragazzo diventerà giornalista (Valerio Mastandrea), nei terribili (stomachevoli?) anni Novanta assisterà in diretta al suicidio dell’imprenditore super miliardario che lo chiamava per farsi intervistare – un Fabrizio Gifuni molto efficace, perfetta effige del cinismo “generoso” di quelli che allora la vita volevano “viverla fino in fondo” (Raul Gardini?) -; e vedrà lo scenario di Sarajevo (sequenze inessenziali, esplicita e didascalica la critica ai trucchi di certe cronache dal campo), sempre con dentro di sé il magone di quella perdita irreparabile. Finché un giorno il direttore del suo giornale non decide di affidargli la rubrica delle risposte ai lettori, partendo da una lettera in cui appunto un lettore confessa l’odio per la propria madre. Caso esemplare per la poetica (sotterranea ma sempre presente) di un autore come Marco Bellocchio. E Massimo scrive una risposta-confessione che ha un grosso successo editoriale e soprattutto contribuisce a curarlo nei suoi attacchi di panico, in occasione del primo dei quali egli trova al telefono del Pronto Soccorso qualcosa di più che un bravo medico (Bérénice Bejo). Detta così, questa è la trama di un semplice raccontino sul tema “La mamma è sempre la mamma”. Ma Bellocchio rispetta sì il libro di Massimo Gramellini da cui deve trarre il film, non trascura però di attingere alla propria poesia, intrisa di critica e di autocritica puntuta verso le radici, intime e socioculturali, che sono alla base del suo cinema. A veder bene, una lettura del film in senso “biografico”, oggettualmente romanzesco, non vale il dono impressionista che ci viene dal regista, evocazioni ben al di là di una pur necessaria autorizzazione del pre-testo (il romanzo). Basti pensare a sequenze come quelle in cui si fa protagonista Roberto Herlitzka nei panni del prete educatore di Massimo bambino, o anche soltanto alla fulminea apparizione di una Piera Degli Esposti, chiamata a punteggiare il dubbio profondo dell’autenticità tematica. E si noti la sintonia di Mastandrea con gli intenti di Bellocchio, l’interpretazione è sofferta nell’intento di restituire al film, sia pure partendo dal libro, la forma contenuta di evocazioni altrimenti non esprimibili. E delle quali perciò non tentiamo traduzione qui. Una volta risolto il segreto di quell’addio iniziale, al di là del tema “mamma”, resta l’impegno che l’autore, come sempre, ci chiede, l’impegno che dimostra di aver avuto egli stesso come “lettore” del testo, come interpretante. E questo livello, da spettatori, si mantiene non tanto restando dietro al seguito del “racconto”, quanto rendendosi disponibili ai momenti creativi nel trasferimento dalla pagina allo schermo. [Film d’apertura alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2016. Miglior film italiano per il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani]
Franco Pecori
10 Novembre 2016