USS Indianapolis
USS Indianapolis: Men of Courage
Regia Mario Van Peebles, 2016
Sceneggiatura Cam Cannon, Richard Rionda Del Castro
Fotografia Andrzej Sekula
Attori Nicolas Cage, Tom Sizemore, James Remar, Thomas Jane, Matt Lanter, Cody Walker, Brian Presley, Emily Tennant, Callard Harris, Mandela Van Peebles, Weronika Rosati, Yutaka Takeuchi, Justin Nesbitt, Matthew Pearson, Johnny Wactor, Adam Scott Miller, Craig Tate.
Il pentimento per la strage atomica compiuta al termine della seconda guerra mondiale non finisce mai. Gli americani usano ancora il cinema per tentare l’ennesimo “mea culpa”. I due capolavori di Clint Eastwood, Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima (2006), non sono bastati. Qui viene anche riportata in superficie la conclusione formale, giudiziaria, con la quale, sotto la presidenza Truman, lo Stato “sistemò” l’esito degli eventi riguardanti la missione dell’incrociatore pesante USS Indianapolis. Ma vediamo. Attingendo ai fatti, Mario Van Peebles, attore (Posse, Solo, Alì) e regista indipendente (Panther 1995, Love Kills 1998), pesca la drammatica odissea dell’equipaggio della nave e del suo comandante, Charles Butler McVay (Nicolas Cage), durante l’operazione segreta del 1945. Si trattava di trasportare attraverso l’oceano le parti componenti di “Little Boy”, una delle due bombe che avrebbero mutato l’esito del conflitto, l’atomica destinata a Hiroshima. Il comandante prescelto era un uomo di sicuro valore, l’incrociatore era in grado di solcare il Pacifico alla velocità di 29 nodi, senza alcuna scorta. Il 16 luglio l’USS Indianapolis salpò da San Francisco. Il 19 dello stesso mese era a Pearl Harbor e il 26 a Tinian, dove consegnò il carico. Missione compiuta? A metà, ora bisognava rientrare. Gli ordini furono di unirsi alla corazzata Idaho e di prepararsi all’invasione del Giappone. Il comandante McVay ordinò la rotta per il Golfo di Leyte, nelle Filippine, l’Indianapolis salpò da Guam, a 17 nodi, ancora senza scorta e, per scelta di McVay, rinunciando a tracciare un percorso a zig-zag. il 30 luglio, 14 minuti dopo la mezzanotte, la prua dell’incrociatore viene colpita da due siluri del sottomarino giapponese I-58, comandato da Mochitsura Hashimoto. Bastano 12 minuti perché la nave pieghi la prua verso il fondo. Fino a qui, il racconto cinematografico ha seguito un andamento lineare, elementare, quasi tagliando programmaticamente ogni intenzione di suspence, come per illustrare soltanto con delle “figure” fatti ben noti. Viste e riviste le ambientazioni interne delle imbarcazioni, tracciate con estrema semplicità le linee caratteriali dei personaggi secondari, affidata all’icona Cage la dimensione drammatica della probabile avventura. Ma poi, il brusco e violento voltapagina diegetico verrebbe a implicare una nuova faccia espressiva, estetica, con circa 900 uomini (l’equipaggio dell’USS Indianapolis era composto di 1.197 persone) ritrovatisi in mare aperto, poche zattere di salvataggio e uno scarso numero di giubbotti di salvataggio. Notte fonda, isolamento, oceano infestato da squali, morte probabile. Passeranno così quasi cinque giorni, insolazioni, sete, fame, sangue, allucinazioni. In questa fase, il film non riesce a crescere e lo spettatore non fa che attendere il finale scontato. In qualche modo qualcuno si accorgerà dell’infausto destino di quegli uomini, mai abbandonato dal loro comandante. Meno “scontata” la chiusura della vicenda, pur appartenendo ormai alla storia degli Stati Uniti e del mondo. Il capitano McVay finì davanti alla corte marziale. Non aveva calcolato abbastanza i pericoli della rotta, ma gli era stata rifiutata una richiesta di scorta mentre l’intelligence americana sapeva di due sottomarini giapponesi sulla rotta dell’Indianapolis. L’America e il mondo seppero ufficialmente della perdita dell’incrociatore quando in primo piano saliva la notizia della resa del Giappone, annunciata da Harry S. Truman.
Franco Pecori
19 Luglio 2017