La nostra vita
La nostra vita
Daniele Luchetti, 2010
Fotografia Claudio Collepiccolo
Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Coalngeli, Alina Madalina Berzunteanu, Marius Ignat, Awa Ly, Emiliano Campagnola.
Cannes 2010: Elio Germano at. David 2011: Daniele Luchetti, regìa.
Sono «tutti impicci», che si può fare? Luchetti si guarda intorno e racconta con appassionata partecipazione ma non senza un’occhio critico la vita dei nostri giorni, vista dal basso. Il suo protagonista è vittima di una situazione che sembra difficile da modificare. Claudio (Germano), operaio edile romano, è pieno di slancio, ama la moglie (Ragonese) e i due bambini, non vede l’ora che nasca il terzo. Intanto il giovane si ammazza di lavoro sulle palazzine in costruzione, una delle tante che affogano la città nel mare di cemento. Poi succede che il bambino nasce e la madre muore. Se avete visto al cinema almeno una volta Elio Germano (Mio fratello è figlio unico, Tutta la vita davanti, Come Dio comanda), potete immaginare. Claudio stringe i denti, si ricarica e va all’assalto della vita. Vuole mettersi in proprio, ma i trucchi che l’appalto richiede lo schiacciano. Finisce pr accettare compromessi duri. D’altra parte il denaro sembra essere l’ingrediente base della felicità (megastore e vacanze al mare). Non sono d’accordo due donne straniere, un’africana che non ha smesso di andare alla messa e una romena che ha perso il marito (ma crede che se ne sia andato) guardiano notturno nel cantiere dove lavora Claudio. Alla fine, dopo essere precipitato nel baratro dei mille impicci, il nostro viene salvato dalla sorella Liliana (Montorsi), dal fratello Piero (Bova) e dall’amico vicino di casa (Zingaretti), un pusher che per aiutarlo rischia la vita. Claudio ha fatto un bel tonfo ma si riprenderà. Lo lasciamo che gioca sul lettone matrimoniale con i suoi tre piccoli. Non cambia di molto, invece, la “nostra vita”, almeno stando alle condizioni descritte da Luchetti. Realismo? Nel film, tutto ciò che succede ha l’aria di essere “naturale”. Il mito di una felicità materiale minima e indispensabile celebra la sua vittoria sul mondo di quanti vivono ai primi gradini della società. Gli altri, quelli più in alto, qui non li vediamo, ma sembra non vi sia niente da fare. Quello che vediamo è un male naturalizzato. La recitazione di Germano è lontana dallo straniamento. L’immedesimazione nel fittizio mette l’attore in collegamento diretto con la qualità artificiosa dell’evoluzione culturale e sociale che stiamo vivendo. La distanza tra gioia e disperazione si riduce progressivamente nel vuoto di certe ideologie colmato da altre ideologie. La scelta di Germano a protagonista, tecnicamente ineccepibile, assume un valore ideale che va oltre il film – film italiano che può chiudere un arco ideale, da Ladri di biciclette (De Sica 1948) a Una vita difficile (Risi 1961), a La nostra vita.
Franco Pecori
21 Maggio 2010