Momenti di trascurabile felicità
Momenti di trascurabile felicità
Regia Daniele Luchetti, 2018
Sceneggiatura Daniele Luchetti
Fotografia Matteo Tommasi Fiorilli
Attori Pif (Pierfrancesco Diliberto), Thony, Renato Carpentieri, Angelica Alleruzzo, Francesco Giammanco, Vincenzo Ferrea, Franz Santo Cantalupo, Manfredi Pannizzo.
Breve, sintetico. Insufficiente. È un rischio che si corre a voler essere colui che ad ogni respiro definisce, allusivo e spiritoso, ironico, come per dire: farei un discorso, ma tenetevi queste poche parole, ché sono anche troppe. Insomma è il maniaco dell’aforismo interrogativo, si pone rapido e fulminante domande provocatorie, imbarazzanti, eppure inutili; o lancia dubbi profondi partendo da osservazioni di piccoli dettagli. La luce del frigo si spegne veramente quando chiudiamo lo sportello? Perché il primo taxi della fila non è mai davvero il primo? E sul serio le centrifughe allo zenzero ci fanno vivere di più? Si rischia di risultare pedanti. Se però si ha la dote della comicità, il discorso può volgersi in positivo. Si passano anche due ore “piacevoli”, a vedere un film come questo di Daniele Luchetti. Il regista di Mio fratello è figlio unico (2007) e di La nostra vita (2010) cambia registro e accetta l’ “insufficienza” del raccontare, affidandosi a due libri scritti da Francesco Piccolo in sequenza: Momenti di trascurabile felicità, Momenti di trascurabile infelicità (Einaudi). Con un taglia e ricuci secondo un cinecriterio “leggero”, le pillole di arguta saggezza tratte dalla vera vita quotidiana che ci tocca vivere si sono trasformate in con-sequenze simpatiche; attraenti e promettenti, ci bloccano la risata a metà e ci costringono a tradurre lo spirito bonario del protagonista in un invito a metterci in gioco con lui, ad accompagnarlo nella “piccola avventura finale” che gli capita per volere del Dio Paradosso. Paolo (Pif) è un ingegnere di Palermo, moglie (Agata/Thony, bravissima) e due figli (Aurora/Angelica Alleruzzo e Filippo/Francesco Giammanco). Col suo tono esistenziale in minore, doppio perfetto della recitazione di Pierfrancesco Diliberto, il padre di famiglia scherza col fuoco di quella “innocenza” residua che fa di molti i giusti cittadini innamorati della propria squadra di calcio, nonché i deboli trasgressori della fedeltà coniugale unatantum. Una delle piccole riflessioni ricorrenti – perché il fioraio ci mette così tanto nel confezionare un mazzo di fiori? – potrebbe essere responsabile – ma se non questa un’altra – della distrazione fatale che fa perdere a Paolo la “sfida” al semaforo rosso. E il nostro si ritrova nello stanzone affollato dello smistamento paradisiaco. Una discrepanza nel calcolo del tempo di vita fa sì che l’impiegato addetto alla pratica (Renato Carpentieri) si veda costretto a “restituire” a Paolo un’ora e 32 minuti da campare. Sarà come un’eternità. Sarà un tempo più che utile per sistemare tutta una serie di cose, anche interiori. Il film si fa via via più serio e scandisce momenti “normali”, fuori dal paradosso. Gli interrogativi, i dubbi, rientrano nella prevedibilità. E pure le soluzioni. Soprattutto il rapporto con Agata e con Aurora avrà per Paolo un riassetto pacioso “regolamentare”, sotto lo sguardo del bonario impiegato dispensatore di assegnazioni definitive. A questo punto, purtroppo, il calo d’ironia si fa pesante e così, giunta l’ora estrema, ecco scoppiare il suono nientemeno che della canzone manifesto, composta da Manlio e D’Anzi nel 1941, dopo l’istituzione del “sabato fascista”. Non un’oretta e mezza in più da godersi in libertà, ma addirittura una mezza giornata: “Voglio vivere così, col sole in fronte e felice tanto, beatamente”. E più precisamente, segue alla voce di Claudio Villa quella di Adriano Celentano, per definire con un ultimo aforismo l’orizzonte della vita felice: “È inutile suonare qui, non vi aprirà nessuno. Il mondo l’abbiam chiuso fuori con il suo casino”.
Franco Pecori
14 Marzo 2019