Sieranevada
Sieranevada
Regia Cristi Puiu, 2016
Sceneggiatura Cristi Puiu
Fotografia Barbu Balasoiu
Attori Mimi Branescu, Dana Dogaru, Sorin Medeleni, Ana Ciontea, Judith State, Bogdan Mumitrache, Rolando Matsangos, Catalina Moga, Marin Grigore, Tatiana Iekel, Marian Râlea, Ioana Craciunescu, Ilona Brezoianu, Simona Ghia, Valer Dellakeza, Andi Vasluuanu, Maria Eleba Andrei, Petra Kurtela, Liviu Popp, Iulian Puiu.
Una cerimonia a Bucarest. Sono passati tre giorni dall’attacco contro Charlie Hebdo. A più di un mese dalla morte del padre, il quarantenne Lary (Mimi Branescu), medico, si reca con la moglie Laura (Catalina Moga) a casa della madre, dove la famiglia riunita – fratelli, nipoti e altri parenti – si appresta a commemorare il defunto. Il pranzo è pronto, si apparecchia la tavola, si attende il prete per la funzione di rito. Tarderà. E intano s’intrecciano parole, commenti, ricordi, osservazioni sull’oggi e sul passato, il comunismo e la monarchia, l’11 settembre… Da una stanza all’altra, al corridoio e al soggiorno, lo spazio è di un appartamento normalmente vissuto, dalla cucina al bagno, da un letto a una sedia, un bambino in braccio, i piatti da sistemare, un angolo dove rifugiarsi, una parola da ribattere, ottimismi e depressioni in agguato, sentore di nuove confusioni che entrano a contaminare false tranquillità perdute: le sequenze scorrono con andamento ininterrotto, il tempo è “reale”. Vengono fuori i caratteri e s’intrecciano i pensieri diversi di un microcosmo familiare in cui un ordine, una prospettiva, una scelta faticano a rivelarsi. Passano i minuti, ne passeranno 173, compreso il tempo della preghiera cantata col prete finalmente arrivato. E un riso nervoso, un po’ sarcastico ci lascerà riconsiderare la lunga cerimonia di cui siamo stati fatti partecipi. Lunga e anche brevissima, appena un flash, se vogliamo considerare il film come un tratto della vita, di quella vita della Bucarest in viaggio verso di noi. Tuttavia non c’è “neorealismo” nel cinema di Cristi Puiu, iniziatore del “nuovo cinema rumeno” (La morte del signor Lazarescu, Un certain regard, Cannes 2005). Quasi non c’è sincretismo, ma è solo un’impressione giacché tagli comunque ve ne sono. Conta non la realtà della durata bensì il senso del tempo, il suo scorrimento; un senso che permette di conservare in primo piano, nella rilevanza primaria, il portato simbolico della cerimonia, tema fondante del film. Viene alla mente un’altra famosa Cerimonia funebre (Gishiki, Nagisa Oshima 1971), non per i riferimenti storici ben diversi, ma per il senso non-narrativo che la struttura “cerimonia” aveva anche in quel capolavoro del cinema giapponese. Due epoche e due passaggi storici, due modi di “presentare” il montaggio cinematografico, diverso nella forma ed equivalente nella sostanza. Troppo facile sarebbe notare come anche il “non-montaggio” non possa essere che montaggio. Una certa abitudine della critica a “suggerire” tagli al montaggio deriva il più delle volte da un implicito adeguamento alle istanze distributive, non sempre rispondenti alle intenzionalità estetiche. [Cannes 2016, concorso]
Franco Pecori
8 Giugno 2017