Le Week-End
Le Week-End
Regia Roger Michell
Sceneggiatura Hanif Kureishi
Fotografia Nathalie Durand
Attori Jim Broadbend, Lindsay Duncan, Jeff Goldblum, Olly Alexander, Judith Davis, Brice Beaugier, Charlotte Léo, Xavier de Guillebon, Marie-France Alvarez, Lee Michelsen, Denis Sebbah, Sébastien Siroux.
«Da quando i ragazzi se ne sono andati cos’è rimasto di noi?». A Parigi, Nick (Jim Broadbend) e Meg (Lindsay Duncan) festeggiano con un week end i 30 anni di matrimonio. Vengono da Birmingham. Al ristorante, è quasi un’ultima cena quando Meg lascia emergere dal proprio interno la crisi intima che da un po’ di tempo si affaccia più spesso nel loro rapporto di coppia. Lei, insegnante di biologia al liceo, imparerebbe volentieri l’italiano, ballerebbe il tango. Nick è un professore di filosofia, il preside del college lo ha “pre-pensionato” per un rimprovero sarcastico a una studentessa nera troppo intenta a curare i propri capelli. Da vecchio anarchico di sinistra, Nick va ancora matto per la verità. Maturi abbastanza per prendere definitivamente coscienza dei limiti di una vita trascorsa in coppia, i due turisti hanno lo spirito per continuare a beccarsi già dal viaggio in aereo e poi in taxi e fino all’hotel di lusso in cui approdano un po’ per caso e un po’ perché il vecchio albergo che li aveva accolti da sposi in viaggio di nozze e che avevano programmato di rivisitare è stato ridipinto con un orribile colore beige. Lo scrittore teatrale anglo-pakistano Hanif Kureishi, autore della sceneggiatura del film di esordio di Stephen Frears, My beautiful laundrette (1985), lascia qui nella scrittura il segno di un cinema avvertito di epoche andate, di radici francesi, e Roger Michell, regista spiritoso e dall’acume critico espresso con efficacia estetica in film come The Mother (2003) e A Royal Weekend (2012), ne utilizza tutti gli spunti d’osservazione anche caratteriale, assecondato dalla straordinaria sensibilità degli attori. Tra una fuga dal conto del ristorante e una visita alle tombe di Beckett e Sartre, si respira un andamento “Nouvelle Vague” a tratti anche esplicito. Man mano, il film si addentra in riflessioni esistenziali, specie nei momenti in cui Nick accenna alla paura incombente della solitudine, fino a progettare di «smettere di desiderare le cose impossibili» – chiave di lettura anche erotica, riproposta quasi rapsodicamente in buona parte del film. Poi arriva l’incontro casuale con il vecchio compagno di università, ora scrittore mediocre di successo. Morgan (Jeff Goldblum) invita Nick e Meg alla festa in casa propria, Rue de Rivoli, per l’uscita dell’ultimo suo libro, nient’altro che una raccolta di articoli. Il racconto si annacqua in sequenze scontate che sottolineano in modo ridondante il contrasto tra la dimensione interiore dei protagonisti, entrambi alla ricerca di una verità “impossibile” da realizzare, e la pratica fittizia (e volgare) di un esistenzialismo americanizzato, sostenuto senza autenticità dal vanitoso Morgan: «Brecht, i Pink Floyd, gli operai… siamo cresciuti protetti». Mentre Meg esce sul balcone a chiacchierare con un improbabile corteggiatore, a Nick non basta certo una “canna” insieme al giovane figlio di Morgan per annegare in una risata drammatica il dispiacere della vita che se ne va. Purtroppo, le battute si fanno più inutilmente esplicite nel sottofinale: «Pensatemi come uno caduto dalla finestra», dice il protagonista durante il brindisi per la pubblicazione del padrone di casa. E aggiunge anche: «Sono proprio fottuto». C’è poi un finale per la consolazione del pubblico: Nick, Meg e Morgan ballano un hully gully “a chiudere”, degno di migliore leggerezza. Rischieremmo di fare un torto al regista se zoomassimo all’indietro rintracciando il tratto autoriale di quel lontano suo Notting Hill, del 1999, con Hugh Grant e Julia Roberts.
Franco Pecori
12 Giugno 2014