A casa nostra
Chez nous
Regia Lucas Belvaux, 2016
Sceneggiatura Lucas Belvaux, Jerôme Leroy
Fotografia Pierric Gantelmi d’Ille
Attori Émilie Dequenne, André Dussollier, Guillaume Gouix, Catherine Jacob, Anne Marivin, Charlotte Talpaert, Mathéo Debaets, Coline Marcourt, Patrick Descamps, Thibault Roux, Corentin Lobet, Michel Ferracci, Stéphane Caillard, Cyril Descours, Julien Roy, Bernard Mazzinghi, Gérard Dubouche, Bernard Eylenbosch, Christophe Moyer, Tom Robelin, Manon Wathelier, Ludovic Molière, Evelyne El Garby Klaï, Iman Amara-Korba, Jeannine Legru, Jean-Louis Sbille.
A casa nostra, la nostra casa. Sottigliezze di significato? Anche, ma di un’importanza che può essere decisiva per il senso dell’espressione e della nostra vita. Tra parole, atti e comportamenti il legame è profondo, molto più di quanto usualmente notiamo, non solo per ignoranza ma per pigra abitudine. L’osservazione è valida per tutti i campi e a tutti i livelli e la pertinenza coinvolge la coscienza di scelte sia spicciole che superiori, scientifiche, politiche. La variabilità del contesto accentua la probabilità della standardizzazione del giudizio, il pericolo dello stereotipo è dietro l’angolo. Restando agli ultimi decenni, risale al 1995 la provocatoria “avvertenza” di Giorgio Gaber: “Il mondo gira e le parole stanno ferme… cos’è la destra cos’è la sinistra”. Avvertenza utile a tutti, ma di possibile senso opposto a seconda del versante d’osservazione. Se ai nostri giorni andiamo in Francia, la vistosa avanzata della destra sembrerebbe fare progressiva e inequivocabile chiarezza su quella distinzione ironicamente dubbiosa del cantautore milanese. Utile a capire il fenomeno socioculturale e politico sarà appunto entrare nel significato e nel senso di Chez nous. Il belga Lucas Belvaux (1961), già attore per Olivier Assayas (Il disordine 1986), Marco Ferreri (Il banchetto di Platone 1989) e Claude Chabrol (Madame Bovary 1991), è alla nona regia. Dopo il debutto in commedia (Per scherzo 1996), ha praticato vari generi, dal thriller al drammatico, al romantico (Sarà il mio tipo? e altri discorsi sull’amore 2014), sempre indagando la complessità delle situazioni e dei personaggi al di là delle superfici narrative. Ora si tratta di verificare come un certo spostamento del senso ci riguardi un po’ tutti da vicino, anche e soprattutto quando siamo a casa nostra e vediamo la “nostra casa” venire invasa e modificata in modo quasi inavvertibile nei suoi propri connotati. La nostra casa è il nostro “habitat”, dove siamo cresciuti e che via via ci siamo aggiustati a misura della nostra formazione e della nostra sensibilità. Se “le parole stanno ferme”, può succedere che, presi “a casa nostra” dagli impegni e dai problemi quotidiani, non ci accorgiamo come “la nostra casa” vada mutando. E si trasformi magari in una direzione culturale e politica che non condividiamo, o che non avremmo condiviso se fossimo stati attenti alla trasformazione. Il lavoro di Belvaux è di disvelamento del processo ingannevole che porta gli spostamenti di significato a propiziare il successo politico di una parte utilizzando i conformismi e le pratiche minute del vivere usuale, a protezione delle comodità individuali e di gruppo. L’uso di parole d’ordine in affitto dalla Storia, come patria, nazione, uguaglianza, fratellanza e perfino libertà, contestualizzate a livello di diffusione più basso, diviene invasivo e persuasivo nelle coscienze dei singoli, per trasferire poi insensibilmente il travaso a livello collettivo. Non a caso la storia di Pauline Duhez (bravissima Émilie Dequenne, la Rosetta dei Dardenne) è la storia del tentativo di eleggere a sindaco di provincia (Nord della Francia) una donna che non si è mai interessata di politica e ha sempre lavorato con puntuale e scrupolosa coscienza da infermiera a domicilio, curando i pazienti ed entrando “nelle loro case”. La destra cerca un’immagine non stereotipa, nei dettagli più visibili sceglie “indici” ideologicamente sfumati, a copertura degli intenti reali. E si passa attraverso i diversi sistemi del vissuto, controllando a fondo anche gli amori della prescelta, in funzione del consenso che ella è chiamata a ottenere utilizzando la propria configurazione di persona onesta, efficiente, “curativa”. Non descriviamo qui gli altri personaggi principali, bene interpretati da André Dussollier, Guillaume Gouix, Catherine Jacob. Notiamo la presenza/assenza di Jacques Duhez (Patrick Descamps), il padre di Pauline, ex operaio metalmeccanico, comunista, seduto in poltrona a guardare la Tv. E appreziamo la preferenza estetica della regia, versata all’esplicita scelta di campo senza accentuazioni espressionistiche, senza cedimenti a stilemi di tipo Tv-Serial, senza inutili finzioni documentaristiche. Un film trasparente.
Franco Pecori
27 Aprile 2017