Ricky – Una storia d’amore e libertà
Ricky
François Ozon, 2009
Fotografia Jeanne Lapoirie
Alexandra Lamy, Sergi López, Mélusine Mayance, Arthur Peyret, André Wilms, Maryline Even, John Arnold, Marc Susini, Catherine Jabot, Hakim Romatif, Jean-Claude Bolle-Reddat, Pierre Fabiani, Julien Haurant, Eric Forterre.
Sì, un neonato con le ali. Che male c’è? Se non lo avete mai visto, questa è l’occasione buona. Katie (Lamy) e Paco (López), operai, vanno in crisi quando nella loro relazione (lei è stata abbandonata dal marito) entra un figlio. La donna ha già da badare alla figlia Lisa (Mayance), in età ancora scolastica. Però un angelo vero non lo aveva mai visto e, figurarsi, proprio in casa! Con la solita bravura nel cogliere il carattere dei personaggi, specialmente femminili, Ozon (8 donne e un mistero, Angel – La vita, il romanzo) procede nella prima parte del film nell’introspezione dell’animo di Katie senza indugiare in psicologismi, semplicemente “pedinando” la protagonista nelle sue faccende quotidiane, di moglie delusa, di madre amorevole, di operaia triste per l’abbandono del marito. Tutto si svolge come in silenzio, tutto è vita “normale”, eppure s’intuisce che qualcosa deve accadere. È questa suspense tacita e “realistica” ad accentuare la partecipazione dello spettatore. Poi la strana attesa viene compensata dallo straordinario evento. Il bambino che nasce, Ricky, ha qualcosa di misterioso, crea ansia e nervosismo. Paco se ne va, offeso dai sospetti di Katie, la quale crede che l’uomo abbia picchiato Ricky. Invece, al neonato stanno spuntando le ali. Da questo momento tutto cambia. Per andare avanti, occorre lasciar cadere le resistenze e liberare la fantasia, o se preferite la capacità di amare. L'”angelo” va liberato, va lasciato volare sulla testa degli ottusi curiosi (l’assedio televisivo). E guai a lasciarsi vincere dalla depressione che può derivare dall’incapacità di accettare l’eccezionale. Katie è sull’orlo del suicidio, ma viene salvata da Ricky. Il bimbo sembrava scomparso e invece ritorna, svolazzando allegramente e ingenuamente davanti agli occhi della madre. Purtroppo l’impresa di rendere verosimile l’inverosimile si rivela tecnicamente disperata. Gli effetti speciali non riescono a nascondere la difficoltà. Il neonato resta troppo vero nel suo volo finto. La metafora perde forza. E tuttavia, quel neonato in carne ed ossa che impudicamente viene fatto volare sul set, suscita estrema simpatia e, alla fine, resta il coraggio di Ozon nel tentare l’impresa. Resta il senso della provocazione, spirituale e laica.
Franco Pecori
9 Ottobre 2009