Giovani si diventa
While We’re Young
Regia Noah Baumbach, 2014
Sceneggiatura Noah Baumbach
Fotografia Sam Levy
Attori Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Charles Grodin, Adam Horovitz, Maria Dizzia, Brady Corbet, James Saito, Matthew Maher, Wyatt Ralff, Matthew Shear, Peter Yarrow, Bonnie Kaufman, Hector Otero, Annie Baker.
Creare e/o documentare, farsi continuamente giovani, rinnovare le idee, gli amori, la propria esistenza. Un buon atteggiamento, non c’è che dire, ottimi princìpi di vita. Il problema è il come, a quali parametri di comportamento riferire le proprie scelte. In sostanza, come e a quale prezzo, pratico e ideale/morale, perseguire la propria creatività. Tema un po’ troppo impegnativo? Forse, ma qui si tratta di una commedia, il cui autore ha mostrato già con la buona accoglienza ricevuta al Sundance Festival la propria inclinazione a cogliere e valorizzare i dettagli anche dei piccoli gesti quotidiani, nei quali – dicevamo nel 2006, a proposito de Il calamaro e la balena – si confrontano “verità” esistenziali e tracce teoriche. Erano in ballo, allora, i problemi dei figli nella situazione di crisi matrimoniale dei genitori, ma il tema sottostante era un serrato confronto di linguaggi, tra cinema e letteratura. Trattando ora di “giovinezza”, l’indipendente (per vocazione) Baumbach coinvolge nel discorso un attore/regista come Ben Stiller, da sempre in combattimento con se stesso in una sorridente ironia tra spaesamento e adattabilità, da Il rompiscatole (1996) a Ti presento i miei (2000), da E poi arriva Polly (2004) a Lo stravagante mondo di Greenberg (2011). Sicché la crisi incipiente tra Josh (Stiller) e Cornelia (Naomi Watts) – coppia di quarantenni newyorkesi “evoluti” – finirà per lasciare emergere dubbi profondi, oltre che per l’andamento stanco di coppia al quale si cerca di rimediare con un’evoluzione piuttosto artificiosa tramite nuove frequentazioni amicali, non più borghesi ma di taglio hipster – la coppia formata da Jamie (Adam Driver) e Darby (Amanda Seyfried) -, soprattutto riguardo al senso da attribuire al genere cinematografico nel quale Josh è impegnato, il documentario. La sceneggiatura ci lascerà scoprire un filo interno di tradimenti e “ruberie” di materiali, a conferma della difficile impasse per cui Josh non riesce a portare a termine l’ultimo suo docufilm – storia di involuzione anche psicologica che implica non solo pesanti responsabilità di Jamie ma ben più importanti difficoltà teoretiche circa il valore di “verità” del documentario. Jamie e Darby rappresentano la nuova generazione, disincantata rispetto alla mitologia del “vero”, tanto da non sentire già più la necessità di affidarsi alle nuove tecnologie che propongono la distanza zero con la “realtà” e da avvertire invece il fascino dei dischi in vinile. Il regista si guarda bene dal proporre vincitori e vinti, limitandosi a metterci in presenza di un passaggio generazionale, divertente e anche drammatico, in cui i personaggi sono attori e testimoni di una fase evolutiva dagli esiti quantomai incerti. Addio obiettività dell’obbiettivo, tema del resto già affrontato negli anni Sessanta con le riflessioni teoriche della critica francese nell’ambito creativo della Nouvelle Vague. Adieu au language, per dirla con Godard.
Franco Pecori
9 Luglio 2015