Saimir
Saimir
Francesco Munzi, 2005
Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo.
Pretende poesia. Al suo primo lungometraggio, premiato a Venezia, Munzi affronta il tema difficile dell’integrazione degli extracomunitari in Italia, scegliendo una storia albanese. Ma non resta al cinema d’inchiesta né al “documentario” post-neoralistico. Pretende poesia. S’immedesima nello sguardo di Saimir (bravissimo Manoku), sedicenne fermatosi col padre Edmond (Feri) vicino al mare di Roma, a cercare una forma di vita, traffico di immigrati, piccoli lavori agricoli. A Munzi interessa ciò che Saimir ha dentro, un groppo difficile da sciogliere. I materiali, gli oggetti, gli ambienti che vediamo sono “veri” e, insieme, rimandano ad una realtà astratta. E’ la pretesa di astrazione che la poesia ha, indipendentemente dal proprio valore. Viene da pensare al primo Antonioni. In superficie, Saimir rifiuta i traffici del padre e si ribella alle diffidenze della ragazzina che ha incontrato. Lascerà anche le occasionali ruberie degli amici rom. Ma nel profondo del ragazzo c’è forse molto di più che un disagio sociale. Munzi lo sente, pretende di sentirlo. E c’è da augurarsi che, fuori – una volta tanto – dalla commedia dei trentenni, il nuovo autore persegua la sua pretesa.
Franco Pecori
29 Aprile 2005