Ponyo sulla scogliera
Gake no ue no Ponyo
Hayao Miyazaki, 2008
Animazione
Venezia 2008, concorso
Qui non si tratta di essere appassionati di animazione. Si va oltre. È che ogni film del maestro giapponese Miyazaki (Tokio,1941) nutre il nostro immaginario di figure che il mondo non è capace nemmeno di rispecchiare, immagini che vivono di una loro vita fantastica, frutto di un genio visionario, immerso nella realtà contemporanea e insieme transmigrante verso mondi ideali, generatori di utopie estetiche. Certo, la prima lettura di Ponyo può essere anche referenziale: dalla Sirenetta di Andersen è nata Ponyo, la pesciolina che entra in sintonia col bambino Sosuke e trova dal mare il sogno umano di un equilibrio ecologico. Ma la visione di Miyazaki (La città incantata, 2001, Il castello errante di Howl, 2004), lascia al sogno la piena libertà di godere dei colori, in una “trasparenza” magica che sa placare ogni angoscia del male. Meravigliosa la lunga sequenza dello tsunami, provocato dallo stregone ex uomo. Colori nuovi rispetto ai capolavori precedenti, toni che indicano anzitutto la spettacolare duttilità dell’autore nell’aderire a materie diverse e nel disegnarne altrettanto diversi destini artistici. È anche una nobile lezione di antivolgarità, considerato il diffuso e triste spettacolo di animazioni unite spesso ad effetti digitali che tendono ad esaltare le peggiori propensioni al superomismo, in un’ansia inquinata di futuro grigio, nero, “medievale”.
Franco Pecori
20 Marzo 2009