Polisse
Polisse
Maïwenn Le Besco, 2011
Fotografia Pierre Aïm
Joey Starr, Maïwenn Le Besco, Karin Viard, Marina Foïs, Nicolas Duvauchelle, Karole Rocher, Emmanuelle Bercot, Arnaud Henriet, Naidra Ayadi, Jérémie Elkaïm, Riccardo Scamarcio, Sandrine Kiberlain, Wladimir Yordanoff, Louis-Do de Lencquesaing, Carole Franck, Laurent Bateau, Anne Suarez, Anthony Delon, Audrey Lamy, Riton Liebman, Sophie Cattani, Martial Di Fonzo Bo, Lou Doillon.
Canne 2011, Prix du Jury.
Brutte storie, storie che la Brigata per la Protezione dei Minori (BPM) della polizia di Parigi deve affrontare quotidianamente. E sono uomini e donne come noi, con i loro problemi anche privati. Navigano in un mare di bugie/verità in cui sono immersi, come noi spettatori. Il loro lavoro è duro specialmente quando devono occuparsi di violenze sui bambini, di pedofilia, di sfruttamento, di perversione sessuale, di traffici illeciti. E’ un gruppo addestrato a lavorare insieme, in un tessuto di competenze ben articolato, specializzazioni anche sottili in un quadro complessivo che, a veder bene, rispecchia la nostra società. E questo è il punto, il senso doloroso del film dell’attrice francese Maïwenn Le Besco alla sua terza regìa dopo Pardonnez-moi (2006) e Le bal des actrices (2009). Il titolo, come fosse la grafia infantile ed errata di Police, richiama anche il senso di uno sguardo ingenuo/obbiettivo con cui la regista si accosta alla materia spinosa, fotografandola con curiosità documentaria. Nei panni di una inviata dal Ministero degli Interni, Melissa/Maïwenn vive per un periodo accanto agli agenti fissando con la macchina fotografica i momenti della loro giornata, durante le varie missioni e durante le pause. I personaggi della “realtà”, bambini e adulti, vanno a formare un insieme “nervoso” e preoccupante, siamo portati a vedere un mondo tutt’altro che “pulito” (e in francese, polisser vuol dire pulire), come venissero alla superficie da un livello sottostante e nascosto aspetti della nostra vita dai quali tendiamo a “difenderci”, per lo più ignorandoli. La forma espressiva del film non è però del tutto adeguata alla complessità del tema. Le scene restano “dipendenti” dalla sceneggiatura/scaletta, soprattutto nella prima parte con l’assemblaggio della casistica che deve servire a informarci sulla sostanza del contenuto. Quando poi si tratterebbe di dare corpo ad alcuni personaggi, specialmente Melissa e Fred (Joey Starr), l’agente da cui la fotografa viene fuggevolmente attratta, ma anche altri componenti la brigata visti nei loro tratti privati, lo sviluppo narrativo non va oltre una funzione “di servizio” verso una proposta di riflessione e dibattito che può anche appassionare in quanto tale ma che non è sufficiente a conquistare la dimensione poetica. E così, risulta brusca e strana la sterzata finale con cui si chiude il film, un gesto drammatico che non aggiunge né toglie al senso né al sentimento estetico.
Franco Pecori
3 Febbraio 2012