Tony Manero
Tony Manero
Pablo Larrain, 2008
Alfredo Castro, Amparo Noguera, Héctor Morales, Paola Lattus, Elsa Poblete.
Raúl (Castro), 52 anni, vuol essere il “Tony Manero del Cile”, vuole vincere il concorso televisivo dedicato al personaggio interpretato più di un anno prima da John Travolta nel film di John Badham La febbre del sabato sera (1977). Siamo nel Cile di Pinochet, la musica disco sa di drammatico contrappunto alla dittatura di cui si avverte l’oppressione senza che la regia di Larrain lasci emergere il tema politico in primo piano. Tuttavia il film è amaro come il fiele. Castro viene pedinato con implacabile curiosità nel suo progetto di immedesimazione. Paragonato ad Al Pacino, l’attore esibisce quel tipo di bravura, non indossando però l’abito dell’Actor’s Studio. Ne risulta un film-verità, lontano dal documentario quanto astratto nella metafora della fuga e dell’impotenza. La figura narrativa naviga nel paradosso mentre le singole scene traducono un senso di violenza repressa che fa spavento. Raúl, nel suo disegno egocentrico, non si ferma davanti ad alcun ostacolo, approfitta anzi delle singole difficoltà “saccheggiandole” con freddezza paranoica e con incuranza per i delitti a cui lo “costringono”. La sua scena è un piccolo teatro-cantina dove egli tenta di allestire una pedana luminosa che possa ricordare la discoteca del mitico film. Attorno, tre donne di diversa età e un giovane ballerino lo adorano e sperano nel suo successo. Fuori, si avvertono scene di repressione, ma per Raúl esiste soltanto Tony Manero. La fissazione gli attraversa la mente e il corpo come una spada, eliminando e assorbendo le circostanze non pertinenti. Neanche la dittatura può qualcosa su di lui perché lui ha dentro di sé la sua dittatura, implacabile, selettiva, ferocemente disturbata. Raul non alza mai la voce. Taciturno, prepara i materiali dell’esibizione. Presentato alla Quinzaine di Cannes e premiato a Torino 2008, come miglior film e per l’interpretazione di Alfredo Castro, il secondo lungometraggio (Fuga è del 2005) del cileno Larrain convince per la misura delle scelte espressive, che hanno la forza di una denuncia sarcastica e non cedono a neorealismi tardivi. Soltanto qualche accenno al simbolismo ferma il film al di qua di un traguardo assoluto che comunque il regista promette di varcare al più presto.
Franco Pecori
16 Gennaio 2009