Un’altra giovinezza
Youth Without Youth
Francis Ford Coppola, 2007
Tim Roth, Alexandra Maria Lara, Bruno Ganz, André M. Hennicke, Marcel Iures, Adrian Pintea, Alexandra Pirici, Zoltan Butuc, Mirela Oprisor, Dan Sandulescu, Theodor Danetti, Mircea Albulescu, Gelu Nitu.
Pietra Neamt, Romania. La notte di Natale. Il settantenne Dominic Mattei (Roth), professore di linguistica, preso dall’angoscia di non riuscire a liberarsi del ricordo di Laura (Lara), suo amore perduto, e di non fare in tempo a terminare una ricerca sull’origine del linguaggio e sulla coscienza del tempo, lascia il letto ed esce, in pigiama sotto la neve. Neanche gli amici del Café Select possono consolarlo. L’idea del suicidio si fa avanti. La metterà in atto il giorno di Pasqua, a Bucarest. E’ il 1938, tempi cupi. Un temporale scoppia proprio all’arrivo di Dominic e un fulmine cade su di lui lasciandolo a terra moribondo. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente. All’ospedale, il professor Stanciulescu (Ganz) deve constatare con estrema meraviglia che il paziente ringiovanisce. Dev’essere stata – pensa – la scarica elettrica del fulmine. In poco tempo il fisico di Dominic è quello di un quarantenne. I nazisti non nascondono l’interesse per il “fenomeno”. Per sfuggire agli esperimenti del tedesco dottor Rudolf (Hennicke), Dominic chiede a Stanciulescu documenti falsi per cambiare identità e trasferirsi in Svizzera. Nel frattempo ha cominciato a parlare le lingue antiche, il latino, il cinese, l’armeno e gli si è materializzato accanto uno strano “consigliere”, che gli appare come il suo “doppio”. Una bella donna che abita nel medesimo albergo, “stanza 6”, lo affascina per spiarlo. Lavora per i nazisti, ma s’innamora di lui e lo salva. Dominic mostra doti sempre più strane: indovina i numeri della roulette, legge un libro in un momento passandolo davanti agli occhi, inventa un linguaggio speciale ed è tutto preso a registrare al magnetofono il proprio terrore dell’atomica. La situazione è matura per il “decollo” verso le “supreme ambiguità” della coscienza. Dominic passeggia in montagna e incontra Veronica (Lara), che somiglia tanto a Laura e che dice di essere Rupini (VII secolo). Parla sanscrito e cerca in una grotta i graffiti del guru indiano. La portano in India, dove trova, in una grotta, un manoscritto e delle ossa. Forse sono le sue, insomma di Rupini. Ma poi la donna riprende coscienza e torna ad essere Veronica. Il che le permette di innamorarsi di Dominic. La coppia felice se ne va a Malta, bella casa, terrazza sul mare. Beatitudine raggiunta? sembrerebbe, ma ecco che Veronica si mette a parlare il babilonese. Quei momenti di vertigine antica la stressano al punto che comincia a invecchiare. Dominic non sa se essere felice per la “discesa” verso la soluzione dei suoi problemi “scientifici” (la regressione fino al protolinguaggio), o se disperarsi ancora una volta per l’amore che svanisce. La seconda. In un guizzo sentimentale, il linguista sceglie di liberare Veronica dalla propria nefasta influenza. E la lascia. Poi, tornato a Pietra Neamt, rompe uno specchio e caccia dalla mente il suo “doppio”. Happy End? Si fa presto a dire. Dominic forse non è cambiato, cerca i suoi vecchi amici al Café Select e resta nel dubbio di stare sognando. In effetti, loro non lo capiscono. Si sente strano, Dominic… sente che sta perdendo i denti. Filosofia del linguaggio, nazismo, metempsicosi, terrore nucleare, New Age, fulmini e saette. Troppo per una storia d’amore. Troppo anche per una regressione all’indietro, fin oltre Il Padrino. “Lost in translation”? Un grosso filmacchione alla moda, piuttosto.
Franco Pecori
26 Ottobre 2007